domenica 28 settembre 2008

"Ti boccio": e' reato se e' ritorsione contro genitori



Roberto Ormanni
Direttore de
IL PARLAMENTARE


L'insegnante che sarebbe colpevole del reato di minacce per aver "avvertito" uno studente del rischio bocciatura e' stato in realta' condannato dalla Corte d'appello di Venezia per abuso d'ufficio, violenza privata aggravata nei confronti di diversi studenti, tentata violenza privata nei confronti della preside e, anche, per minacce nei confronti di una sua allieva i cui genitori avevano chiesto alla scuola di rimuovere dal servizio lo stesso prof a causa di scontri e diverbi.
In una nota diffusa oggi dalla Presidenza della Suprema corte a seguito delle polemiche sulla sentenza che avrebbe considerato reato minacciare la bocciatura di uno studente impreparato, si precisa che "la minaccia e' tale solo quando e' ingiusta".
In pratica, e' ingiusto minacciare di bocciare uno studente se questi non lo merita. La sentenza "incriminata" infatti (la numero 36700 del 2008 emessa dalla sesta sezione penale, presidente Bruno Oliva, relatore Giorgio Fidelbo) non riguarda il semplice avvertimento "ti boccio" rivolto a uno scolaro impreparato.
La pronuncia della Cassazione analizza invece, in seguito al ricorso di un professore del liceo "Paolo Lioy" di Vicenza, Marcello T. che oggi e' in servizio in un'altra scuola, una serie di vicende che avevano portato il prof a giudizio con le accuse di abuso d'ufficio per aver impartito lezioni private a pagamento agli studenti delle sue classi, di violenza privata aggravata per aver costretto tutti gli allievi della classe II B a sottoscrivere una lettera nella quale si affermava che l'insegnante aveva correttamente svolto tutto il programma, per aver inoltre obbligato una studentessa a firmare un'altra lettera con la quale la ragazza ammetteva di essere sempre impreparata, di aver poi obbligato quindici studenti della III B a scrivere una terza lettera in cui si chiedeva alla preside di mantenere in servizio lo stesso professore e di avere infine impedito agli studenti delle proprie classi e anche ai rispettivi genitori di partecipare a un'assemblea (nell'aprile del 2001) nel corso della quale si sarebbe anche discusso dei rapporti tra i ragazzi, la scuola e lo stesso insegnante.
Rapporti difficili, tanto che la preside dell'istituto ha richiesto e ottenuto un'ispezione ministeriale, per chiarire le contestazioni che venivano avanzate da ragazzi e genitori nei confronti dell'insegnante.
In tale circostanza il professore Marcello T. ha tentato di indurre la preside a revocare la richiesta di ispezione minacciando anche il capo dell'istituto "di renderle la vita impossibile, utilizzando anche notizie personali, se l'ispezione fosse andata avanti".
Proprio per "difendersi" dai risultati sfavorevoli dell'ispezione l'insegnante e' ricorso alle lettere che gli studenti erano obbligati a firmare, alle interferenze nella partecipazione di genitori e ragazzi alle assemblee scolastiche e alle minacce nei confronti dei suoi allievi, per indurre i genitori a fare marcia indietro.
Per raggiungere questi obiettivi il prof ha fatto ricorso, scrive la Cassazione, "a implicite ma chiare minacce di ripercussioni negative sul curriculum scolastico" dei suoi studenti. Come non bastasse il professore ha poi minacciato "esplicitamente" una sua alunna, Silvia C., affermando che "non aveva piu' alcuna possibilita' di essere promossa".
Una minaccia che, sottolineano i giudici nella sentenza, e' stata conseguenza "della partecipazione della madre della stessa Silvia C. a un'assemblea scolastica" nel corso della quale la signora "aveva proposto che non venisse mantenuta la continuita' didattica del professor T. per i tre anni successivi".
Per tutte queste accuse l'insegnante Marcello T. era stato mandato a giudizio, al processo si erano costituiti parte civile le famiglie degli studenti, e nel 2005 ha chiesto al Gup di Vicenza di essere giudicato con il rito abbreviato. Condannato, aveva presentato appello e nel 2007 la Corte d'appello di Venezia confermava le condanne disponendo la prescrizione per alcuni episodi di abuso d'ufficio relativi alle lezioni private ad altri studenti e per alcune contravvenzioni minori. La difesa ha quindi presentato ricorso per Cassazione sostenendo che vi erano diverse irregolarita' formali e processuali, e chiedendo inoltre che venisse ridotta la pena. (Roberto Ormanni)

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Illuminante il modo di commentare la sentenza della Suprema Corte di cassazione, commento che chiarisce quali sono i termini nell'ambito dei quali la minaccia "Ti boccio" diventa penalmente rilevante ed è reato.