sabato 29 novembre 2008

Il freno di Bruxelles

LA STAMPA
29/11/2008
MARIO DEAGLIO



Nelle misure governative non c’è la «svolta» richiesta da Guglielmo Epifani, segretario della Cgil, per revocare lo sciopero generale indetto per il 12 dicembre. Del resto, Epifani, come tutti gli altri, sapeva benissimo che, date le decisioni adottate in sede europea, questa svolta non poteva esserci. Le misure vanno infatti nella direzione giusta, ma non bastano a garantire il superamento della recessione. Tale superamento sarebbe possibile con una maggiore flessibilità sui deficit stabiliti dai trattati, ma non se ne farà nulla finché non ci si deciderà a pensionare quanto meno il commissario europeo Joaquín Almunia, responsabile degli Affari Economici e Monetari dell’Unione; si tratta di una degnissima persona che abita un pianeta in cui l’economia reale non ha più posto, rigoroso custode di un’«ortodossia» inflessibile dei trattati che toglie respiro a ogni velleità di crescita. Avendo accettato i limiti di Almunia, i governi europei non hanno comunque in mano munizioni sufficienti per rispondere in pieno all’assalto della crisi; riusciranno quanto meno ad alleviarla, a evitarne le punte più acute.

In una simile situazione, il governo italiano si è mosso con relativo buon senso, con un insieme di provvedimenti ragionevoli, sufficientemente calibrati, anche se sicuramente risulta stonata la rivendicazione del presidente del Consiglio del «primato» italiano nella risposta alla crisi: l’Italia è il paese avanzato il cui profilo previsivo è peggiorato più sensibilmente nel corso delle ultime settimane ed è appena logico attendersi che il suo governo reagisca con reattività maggiore. L’effetto dei provvedimenti sulle infrastrutture e dei «Tremonti bonds» per facilitare il credito è non solo difficile da valutare ma relativamente remoto nel tempo. Il «bonus» alle famiglie, invece, arginando sperabilmente la caduta dei consumi fin da febbraio-marzo, potrà avere un impatto quasi immediato sulla produzione: equivale allo 0,2 per cento del prodotto interno lordo e attenuerà un poco la caduta produttiva prevista per il 2009. Nel loro complesso, i provvedimenti di carattere sociale paiono al momento attuale soltanto abbozzati ma distribuiti in modo abbastanza rispettoso della mappa del disagio sociale che sta prendendo forma nel paese. La tendenza dei precedenti governi di centrodestra a tenere in particolare conto le esigenze dei redditi alti e medio-alti sembra ormai sostituita con quella per le esigenze dei redditi bassi e medio-bassi (e con la tenuta generale del sistema). Per effetto di queste misure, nonché del brusco mutamento del panorama inflazionistico italiano e mondiale, dominato dalla forte caduta dei prezzi delle materie prime energetiche, l’orizzonte economico delle famiglie con bassi redditi appare, se non schiarito, almeno non così buio come risultava un paio di mesi fa. Ai minori costi, rispetto al previsto, di benzina ed energia, si aggiungono le provvidenze per i mutui a tasso variabile, la sospensione degli scatti automatici delle tariffe autostradali, il blocco di quelle ferroviarie per i pendolari, tutte misure che paiono riflettere, oltre al resto, un tentativo di evitare lo sciopero generale indetto dalla Cgil. Tutto questo non è bastato - e non poteva bastare - né alla Cgil né alla Confindustria di fronte alla forte caduta della produzione industriale e alle allarmanti prospettive di aumento della disoccupazione. Si è costruita una trincea contro l’assalto della recessione e non si può non sperare che questa trincea tenga o allevii l’urto; non si è costruita alcuna politica di ripresa. Ma in questo caso, l’interlocutore di Cgil e Confindustria non è più Roma ma Bruxelles; per usare una vecchia metafora, Roma, come Parigi, Berlino e tutte le altre capitali, può mettere ordine alle sedie sul ponte del Titanic, e non lo sta facendo male, ma non può variare la rotta del Titanic, decisa a Bruxelles e destinata a passare in pericolosa prossimità di un iceberg. Sarebbe ora che le grandi impostazioni europee di politica economica venissero considerate oggetto di discussione politica, e quindi di possibile contestazione, e non pronunciamenti di una casta superiore. Se si raggiungesse questo risultato, non solo la congiuntura italiana, ma il funzionamento complessivo dell’Unione Europea avrebbe fatto un passo avanti.

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