domenica 30 novembre 2008

Perché crollano le scuole

LA STAMPA
30/11/2008
CARLO FEDERICO GROSSO


Un terzo delle scuole non è in regola con le prescrizioni sulla sicurezza stabilite dalla legge n. 626. Per metterle a norma sono necessari 10 miliardi di euro, forse 13. Lo ha dichiarato il sottosegretario Bertolaso in Parlamento.

È emerso altresì che dall’anno in cui è entrata in vigore la 626, le istituzioni competenti in materia di sicurezza nelle scuole ogni anno hanno prorogato la vecchia disciplina. La ragione: non ci sono i denari necessari per metterle in regola. Ciò significa che dal 1994 le norme che sono state giudicate indispensabili per la prevenzione possono essere «legalmente» infrante nei luoghi dove operano quotidianamente bambini e ragazzi. Un Paese da Terzo Mondo.

Ora, dopo che è accaduto un grave disastro, dopo che presidi allarmati denunciano pubblicamente le carenze e minacciano di chiudere le loro scuole, le risorse necessarie saranno reperite? Bertolaso ha detto: 10 miliardi costituiscono un miraggio, si può, forse, pensare di reperirne 4 indispensabili per intervenire quantomeno nelle zone a rischio sismico. Non è il massimo, ma quantomeno si cominci subito con i primi interventi e si programmino quelli successivi.

Quanto tempo sarà tuttavia necessario anche soltanto per individuare i casi urgenti, approvare i progetti, reperire i denari, realizzare le priorità? E quanto per rendere sicuro l’intero universo edilizio? Conoscendo la durata degli appalti pubblici, non oso pensarlo. Intanto, le situazioni d’insicurezza riscontrate continueranno a pesare sul capo di alunni ed insegnanti. E le corrispondenti situazioni di responsabilità, su chi peseranno?

Anche quest’ultimo non è problema di poco conto. Quando si palesa una condizione di pericolo, e non è possibile eliminarla con tempestività perché mancano le risorse o sono necessari tempi tecnici per l’esecuzione dei lavori, si pone, sempre, un problema di possibile responsabilità giuridica. O si chiude la scuola, si blocca la sala operatoria insicura, si chiude la fabbrica o, se si ritiene che il costo umano o sociale del blocco sia troppo elevato, si prosegue nelle normali attività cercando, attraverso opportune cautele, di ridurre al minimo i rischi. Qual è, peraltro, il «rischio minimo consentito», al di là del quale s’impone comunque la chiusura, e se non si chiude si risponde degli incidenti che dovessero verificarsi?

Stabilirlo è sempre difficile. In ogni caso, se si verifica un disastro, sarà il giudice a valutare dopo i fatti, a bocce ferme, secondo i suoi criteri. Chi si è trovato nella necessità di decidere, in un senso o nell’altro, rischierà comunque un processo, qualunque sia stata la sua scelta. In caso di prosecuzione dell’attività, per il disastro colposo che si sia verificato; in caso di blocco, per interruzione di un pubblico servizio, ove le ragioni della chiusura non dovessero risultare giustificate. Una situazione sommamente ingiusta.

Il presidente dell’associazione presidi, intervistato da La Stampa, ha descritto in questo modo la situazione. Ogni anno ognuno di noi è tenuto a presentare una mappa dei rischi ed a formulare le richieste di manutenzione. Ogni anno, sindaci e presidenti di Provincia, disponendo di budget insufficienti, sono peraltro costretti a scegliere gli interventi più urgenti. Noi - ha concluso - abbiamo di conseguenza imparato a convivere «con situazioni di rischio relativo», in quanto «una rigidità eccessiva nell’applicazione delle norme sulla sicurezza comporterebbe la chiusura di molte scuole». Ma se hanno fatto tutto il possibile per fronteggiare la situazione, se si sono dannati l’anima per trovare fondi e risorse, perché dovrebbero rischiare quantomeno onore e denaro affrontando un processo penale per omissione di intervento?

E poi, quali sono, davvero, gli interventi doverosi se, come si è visto, attraverso il sistema delle proroghe si è addirittura legalizzata, nel mondo scolastico, l’infrazione di ciò che si ritiene comunemente indispensabile per assicurare la sicurezza?

Le responsabilità sono ben altre. Sono le responsabilità degli autori di eventuali negligenze clamorose (presidi, assessori, funzionari, quant’altri avrebbero dovuto intervenire o sono intervenuti male), di errori nell’esecuzione dei lavori, d’inerzie senza giustificazione; o di chi, dovendo usare i denari pubblici con scienza e coscienza, ha compiuto frodi, truffe, malversazioni, ruberie.

Che dire, d’altronde, di coloro che, investiti a livello nazionale di responsabilità di governo, non hanno predisposto strumenti, risorse, mezzi, programmi, consentendo che il patrimonio edilizio degradasse e diventasse, sovente, un pericolo per chi vi lavora? In questi giorni si mormora che in Friuli il 51% degli edifici sarebbe privo di agibilità, in Lombardia addirittura il 70%. C’è un’evidente responsabilità politica. Ma non si potrebbe intravedere, pure, qualche profilo di responsabilità giuridica?

Il rischio è, tuttavia, ancora un altro. Quando scoppia uno scandalo la gente discute, dileggia, recrimina, denuncia. Passata la buriana cala, di solito, il silenzio. Quando la questione sicurezza nelle scuole scomparirà dalle pagine dei giornali, temo che scomparirà anche il problema, e presidi, assessori, responsabili tecnici torneranno a dover fare i loro difficili conti quotidiani con le risorse insufficienti e la mancanza di programmazione nazionale. Fino al prossimo disastro, al prossimo funerale.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Si sa da una vita...

ma nessuno se ne è mai preoccupato, se non quando succede l'irrimediabile.

Tornerà tutto nel dimenticatoio,
come è accaduto già le altre volte...

purtroppo.

Madda