mercoledì 31 dicembre 2008

Una strada per salvarci dai debiti

LA STAMPA
31/12/2008
PAOLO CIRINO POMICINO


La gara tra ottimisti e catastrofisti non ci appassiona perché senza volerlo il discorso sulla crisi economica italiana viene fuorviato. Una crisi finanziaria internazionale ha innescato una crisi dell’economia reale che interessa tutti i Paesi, anche quelli emergenti che ci avevano abituati a tassi di crescita annuali tra l’8% e il 10%. È il mondo in crisi. La gente ha meno soldi per consumare, le imprese producono sempre meno, gli Stati hanno meno soldi per le opere pubbliche e sono oppressi da richieste di più forti ammortizzatori sociali. Questo stato di cose è figlio d’una cultura scellerata che ha confuso l’economia di mercato con una grande prateria dove si può cacciare di tutto e senza alcuna regola. Con grande ritardo i governi ne hanno preso atto e tentano di porvi rimedio con interventi per dimensioni e qualità senza precedenti secondo la naturale scaletta che vede in fila il sistema del credito, quello delle imprese, le opere pubbliche, le famiglie.

L’Italia ha chiara la scaletta degl’interventi ma si è fermata a interventi piccoli ancorché utilissimi. La social card di 40 euro mensili, l’estensione a molti lavoratori, precari compresi, degli ammortizzatori sociali, bonus una tantum per famiglie bisognose e tante altre piccole misure, sono un insieme di provvedimenti che danno sollievo alle fasce più deboli ma non sono quella manovra anticiclica che la situazione richiederebbe. Negli ambienti dell’economia si dice che il macigno del debito pubblico ce lo impedisce. Bisogna smettere con l’alibi del debito del passato perché governi di colore diverso hanno avuto ben 17 anni (un’era geologica in politica) per ridurlo e invece è cresciuto rispetto al 1991. Se un Paese non cresce aumenta il proprio disavanzo annuale e il debito. In questi 17 anni la guida dell’economia italiana è stata posta sempre nelle mani di tecnici e professori e l’Italia è scesa all’ultimo posto in Europa per debito accumulato e per tasso di crescita. Se aspettando la ripresa internazionale riuscissimo a ottenere almeno uno dei due obiettivi, quello del risanamento dei conti pubblici, noi apprezzeremmo convinti l’inazione di Tremonti. Purtroppo accade il contrario. Non investiamo perché abbiamo il debito pubblico, l’economia va in recessione in maniera ancora più grave (per il 2009 rischiamo di raggiungere il meno 2), le entrate tributarie crollano più delle spese tagliate, il disavanzo aumenta e con esso il debito.

Come si vede recessione e disavanzo vanno di pari passo. Nel 2008 in ogni trimestre è sceso il Pil e aumentato il disavanzo che si attesterà intorno al 3% a fine anno (nel 2007 era 1,9%) e nel 2009 sarà al 3,5%. Chiunque abbia sale in zucca, dovrebbe scegliere una strada diversa, quella d’incominciare a crescere investendo in quella scaletta prima descritta (sistema creditizio, imprese, opere pubbliche, famiglie) per invertire il ciclo e avviare così anche il risanamento della finanza pubblica. Giustamente Tremonti non vuole ulteriormente indebitarsi ma una strada ce l’ha e non può non conoscerla. Vendiamo alla Cassa depositi e prestiti, che ha cento miliardi di liquidità, e ad enti previdenziali privati (notai, commercianti, medici, giornalisti) immobili utilizzati dallo Stato per almeno 15 miliardi di euro offrendo rendimenti di mercato (tra 5,5% e 6%). Immettiamo questi 15 miliardi, che non aumentano il debito pubblico, nell’economia reale secondo un saggio equilibrio tra imprese, famiglie, opere pubbliche e vedrete come l’Italia ricomincerà a crescere con un circuito sempre più virtuoso capace di raggiungere quanto prima il pareggio di bilancio. Diversamente aspetteremo attoniti il Godot della ripresa internazionale e quando essa arriverà non saremo in condizioni che di prendere solo un pezzetto di coda perché in 15 anni il Paese non ha saputo affrontare quei nodi strutturali che ancora lo strozzano e che l’hanno sempre più relegato tra gli ultimi in Europa. L’Italia ha ancora benzina da utilizzare come lo scarso indebitamento delle famiglie e un buon risparmio nazionale. Restare fermi è da suicidi a meno che non si voglia drammatizzare fino all’estremo una situazione già difficile per un’operazione politica di unità nazionale che non riuscirebbe e che sarebbe pertanto rovinosa.

p.cirino_pomicino@tiscali.it

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