giovedì 30 aprile 2009

Per le sentenze ci manca il Re Sole


30/4/2009
BRUNO TINTI

Ai tempi del Re Sole, quando si mandava una persona in prigione, si usava la «lettre de cachet». C’era scritto che Tizio doveva essere portato alla Bastiglia dove sarebbe restato per anni o per tutta la vita. Semplice ed efficace come sistema. Per fortuna le cose sono cambiate e adesso per farlo un pm deve chiedere a un gip; e gip e Tribunale della libertà debbono essere d’accordo. Poi si deve fare un processo con sentenza confermata in Appello e in Cassazione. Si capisce che oggi tenere qualcuno in prigione è più complicato.

Soprattutto perché chi firmava la «lettre de cachet» non spiegava perché il malcapitato doveva andare alla Bastiglia. Oggi i giudici debbono motivare. Questa faccenda della motivazione è sottovalutata da tutti. Quando si parla di giustizia, sembra che i problemi siano la separazione delle carriere, l’obbligatorietà dell’azione penale, le intercettazioni. Nessuno che si chieda: ma, dopo che il giudice ha detto in aula che Fiero Farabutto è stato condannato a 20 anni di reclusione, che succede? Bisogna spiegare la decisione, scrivere la sentenza.

Il problema è che tutti credono che il processo penale sia come nei film: la giuria dichiara l’imputato colpevole: il giudice gli dice che dovrà scontare 20 anni; e poi tutti a casa, meno l’imputato che va in prigione. Solo che succede nei film e negli Stati Uniti d’America, dove giudici e giuria non emettono sentenze ma verdetti: sentenze di condanna non motivate. In Italia questo non è possibile: bisogna spiegare. È a questo che serve la sentenza. Solo che spiegare è una cosa complicata. Bisogna raccontare quello che è successo, quello che hanno detto gli imputati, le parti offese, i testimoni, la polizia, i periti; perché quello che hanno detto alcuni è ritenuto attendibile mentre quello che hanno detto altri è falso; bisogna analizzare le argomentazioni degli avvocati difensori, se è necessario bisogna confutarle. Per un processo che abbia un imputato, un reato (ma un reato semplice), una parte offesa e due testimoni, in meno di due ore non ce la si fa. A volte arriva il cataclisma o maxiprocesso: 100 imputati, 13 associazioni a delinquere, 28 omicidi, centinaia di rapine ed estorsioni, centinaia di testimoni, decine, centinaia di avvocati. Si va avanti per un anno o due. Poi la sentenza: e si comincia a scrivere. Quanto ci si mette? 200, 500, 1000 ore? In giorni, 10, 100, 200? Ma se il giudice che deve scrivere questo romanzo fiume fa solo questo; se, tre volte la settimana, deve andare in udienza e il pomeriggio deve scrivere le sentenze dei processi che ha trattato la mattina, i tempi si moltiplicano.

Nei giorni scorsi tutti si sono indignati per i mafiosi di Bari scarcerati perché, dopo un anno, il gup non ha ancora depositato la sentenza. Il processo di Bari aveva 161 imputati. I reati erano quattro associazioni a delinquere e un’infinità di reati comuni. Quanti mesi erano necessari per scrivere questa sentenza? E cosa è stato fatto per aiutare il giudice in quest’opera micidiale? È stato sollevato parzialmente dal lavoro ordinario (ma solo per i processi con detenuti) per 4 mesi. Per il resto, rimboccarsi le maniche e via.

Dobbiamo metterci d’accordo. Vogliamo un processo supergarantito (il nostro processo penale lo è, anzi, di più)? Allora dobbiamo rassegnarci a un processo che dura anni. E, se non vogliamo tenere in prigione gli imputati per tempi lunghissimi fino alla sentenza definitiva, ma non vogliamo farli uscire prima, dobbiamo moltiplicare per 10, 15 - chi lo sa? - i giudici che debbono scrivere le sentenze. E dove pigliamo questi giudici, visto che a ogni concorso non si coprono nemmeno i posti disponibili per mancanza di candidati con preparazione sufficiente? E poi, ammesso che li troviamo, come paghiamo migliaia di giudici? La verità è che tutto questo non si può fare: mancano giudici e soldi. Quindi è inevitabile che i mafiosi di Bari e di tanti altri posti escano per decorrenza termini. Questa virtuosa indignazione di chi sa bene che il sistema giudiziario italiano non può fornire il prodotto che gli si chiede è inaccettabile. La nostra classe dirigente dovrebbe una buona volta riconoscere che è arrivato il tempo di costruire un nuovo processo penale, efficiente e razionale. E se questo significherà la perdita dell’impunità per quella parte di essa che prospera nel malaffare, pazienza.

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