domenica 31 maggio 2009

Doppiezze televisive


31/5/2009
WALTER SITI


Ma come, la tivù italiana che tutti dicono invasa dai reality, succube del gossip, la tivù berlusconiana che dagli Anni 80 ha modernizzato il costume rendendolo moralmente più easy, meno bacchettone, più tollerante sulle libertà sessuali, questa televisione tace quasi compatta sul Noemigate?

Quel Noemigate che dovrebbe essere pane per i suoi denti, pozzanghera in cui sguazzare. La cosa si può vedere in due modi: o come un ordinario fenomeno di autocensura (quasi nessuno osa affrontare un tema che gli inimicherebbe immediatamente il presidente del Consiglio) o come un segno di maturità (meno male che il gossip sa dove e quando fermarsi). Forse si può affrontare la questione da un terzo punto di vista: che cosa questo imbarazzato silenzio ci dice sulla televisione stessa, sul suo quoziente di lucidità.

Di fronte al groviglio oggettivo di contraddizioni, alle affermazioni avventate che hanno dovuto essere corrette in corso d’opera, a testimonianze che è difficile smontare e che si stanno pericolosamente moltiplicando, i latrati di sdegno che i politici di destra esibiscono nei dibattiti (i vari «vergogna!» contro «una barbarie che non ha limiti») sembrano francamente insufficienti. Una strategia più astuta era quella indicata qualche giorno fa da Giuliano Ferrara sul Foglio - suggerire al premier di virare verso una versione soft: ebbene sì, avere ragazze belle e giovani intorno mi fa sentire vivo, mi piace vederle ballare e sentirle cantare, perfino (perché no?) scherzarci e tenerle sulle ginocchia; che c’è di illegale, o anche solo di male, nel mio comportamento? Questa è la direzione su cui camminano innumerevoli programmi televisivi, un edonismo epicureo che può essere sostenuto con argomenti non volgari. Ma da quando Berlusconi si è avvalorato come il conduttore indiscusso dell’Italia moderata, lui stesso non può più giovarsi apertamente di quegli argomenti - è costretto ad andare ingessato da Vespa, non a un programma di Papi (Enrico) o a Chiambretti Night.

Da allora la (presunta) libertà televisiva dei costumi è implosa ed è cominciato un regime di doppiezza; si è pretesa dagli spettatori una diversa sensibilità etica a seconda delle trasmissioni: meglio che l’occhio e l’orecchio destro non sappiano quel che ascoltano e vedono l’occhio e l’orecchio sinistro. Basta non intignarsi con la coerenza, non tirare mai le somme. Anche per gli autori, basta sentirsi eticamente superiori ai programmi che si fanno, tirarsene fuori. Come in sogno, a occhi chiusi: essere sintomo di liberazione e magari di libertinismo, senza assumersi il duro compito di trarne esplicite conseguenze culturali.

Nemmeno il «Noemigate» metterà in crisi questo comodo, anfibio doppio registro: tanto, anche per i talk più aggressivi funzionerà un altro collaudatissimo meccanismo televisivo: che un tormentone troppo spesso ripetuto genera sazietà. La verità in tivù è indimostrabile, il rumore di fondo la impedisce: e allora basta con questa Noemi, o Naomi - anzi, Noemi chi?

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