giovedì 31 dicembre 2009

L'irripetibile congiunzione astrale delle riforme


31/12/2009
LUCA RICOLFI


Con la fine del 2009 si chiude il peggior anno dalla fine della Seconda Guerra mondiale, non solo in Italia ma in tutte le economie sviluppate. Difficile dire se, quando e come ne usciremo sul piano economico, perché dipenderà poco da noi e molto dal resto del mondo. Sul piano politico, invece, qualcosa si riesce a intuire fin da ora.

A prima vista si direbbe che, dopo l'aggressione a Berlusconi, qualcosa stia cambiando nel clima politico generale, che gli inviti alla ragionevolezza e al rispetto reciproco qualche risultato lo stiano ottenendo. Si riparla di «riforme condivise» e qualcuno, forse immemore degli innumerevoli fallimenti passati, si spinge persino a parlare di «legislatura costituente», auspicando che - finalmente - destra e sinistra riescano a mettersi d'accordo sulle regole del gioco: poteri del premier, assetto istituzionale, rapporti fra politica e giustizia, legge elettorale.

E tuttavia l'aggressione al premier non è, a mio parere, la ragione principale per cui la politica, in questi ultimi scampoli del 2009, sta mostrando un volto più civile. La ragione di fondo è che l'Italia, per la prima volta da oltre 30 anni, sta per entrare in una congiuntura astrale specialissima e difficilmente ripetibile: un triennio senza elezioni di portata nazionale, e dunque senza micidiali occasioni di contrapposizione e di scontro. Gli appuntamenti elettorali con valenza politica nazionale sono infatti solo di tre tipi: le elezioni politiche, le elezioni regionali, le elezioni europee. Ebbene, noi ci siamo appena lasciati alle spalle sia le elezioni europee (nel 2009) sia le elezioni politiche (nel 2008) e fra meno di tre mesi, ossia alla fine del prossimo mese di marzo, ci saremo lasciati alle spalle anche le elezioni regionali. Dopo il 21 marzo 2010, quando rinnoveremo la maggior parte dei consigli regionali, per oltre tre anni la politica italiana sarà del tutto priva di test elettorali nazionali: un’occasione unica per iniziare un confronto politico non inquinato dall’obbligo di litigare in vista delle prossime elezioni.

Che cosa succederà dunque a partire dal 2010?

Fino al 21 marzo 2010, data dello scontro per le Regionali, possiamo star certi che non succederà nulla di significativo. I partiti torneranno a combattersi più o meno aspramente, il governo non rivelerà in quali regioni intende costruire le centrali nucleari, il federalismo resterà ibernato come lo è rimasto in tutta questa prima parte della legislatura. Poi, però, a partire dalla primavera del nuovo anno, cominceremo a vedere le carte dei giocatori in campo. La maggioranza, che finora ha navigato a vista e non ha certo grandi risultati da esibire, dovrà usare i tre anni che le rimangono per convincere gli italiani a confermarle la fiducia che le hanno finora concesso. La Lega, in particolare, non può permettersi di arrivare al 2013 senza qualche prova tangibile che il federalismo dà i suoi frutti: meno tasse, servizi migliori, più crescita. Quanto all'opposizione, finora anch’essa ha navigato a vista, ed è impensabile che si presenti all'appuntamento del 2013 senza un profilo assai più chiaro di quello di oggi. Se Bersani non dovesse riuscire in un simile compito, le uniche chance della sinistra di tornare al governo risiederebbero nel fallimento del centro-destra e nella stanchezza degli elettori, una ben triste prospettiva per tutti noi.

L’immobilismo, dunque, non serve né agli uni né agli altri. Questo però non basta a garantire che qualcosa si muoverà. Lo scenario più verosimile, a mio parere, è che le divisioni interne ad entrambi i campi paralizzino sia il governo sia l'opposizione. A sinistra l'ossessione di «farla pagare» a Berlusconi renderà difficile il confronto anche sulle cose su cui un accordo sarebbe possibile, ossia su alcune regole del gioco e su tutte le più importanti riforme economico-sociali. E’ strano che se ne parli così poco, ma già oggi maggioranza e opposizione dialogano (o hanno dialogato) sulla riforma della Pubblica amministrazione, sul federalismo, sull’Università, sui nuovi ammortizzatori sociali, sulle pensioni (è di questi giorni una proposta comune Pd-Pdl, a firma Cazzola e Treu). E sulle regole del gioco l'unico ostacolo veramente insormontabile sono le leggi ad personam (legittimo impedimento e «lodo Alfano costituzionale»), che la destra non sembra disposta ad abbandonare e la sinistra non sembra disposta a stralciare da tutto il resto.

A destra la tentazione di far da soli è sempre molto forte, anche se si presenta talora in vesti curiose. Marcello Pera, ad esempio, qualche giorno fa ha duramente criticato la dottrina delle «riforme condivise», e ha contrapposto ad essa il progetto di fare finalmente - a colpi di maggioranza - la «rivoluzione liberale» promessa da Berlusconi fin dal 1994 e mai attuata né allora, né nel 2001-2006, né oggi. L'ex presidente del Senato, tuttavia, non ci spiega come mai tale rivoluzione non sia mai stata attuata, né perché proprio ora il centro-destra dovrebbe trovare la determinazione che gli è sempre mancata finora.

Una possibile risposta a questa domanda è che i fautori di una rivoluzione liberale sono minoranza sia nel centro-destra sia nel centro-sinistra. In entrambi gli schieramenti la tentazione egemone, quella che finora ha prevalso, è stata sempre quella di aumentare l'interposizione pubblica - tasse, spesa, deficit pubblico - in modo da rafforzare il potere discrezionale della politica. Si può ritenere che, anche alleandosi fra loro, i liberali dei due schieramenti peserebbero comunque troppo poco, così come si può paventare che siano gli elettori stessi a preferire le promesse di protezione ai rischi di una autentica rivoluzione liberale, che valorizzasse il merito e la responsabilità individuale. Ma è lecito dubitare che una simile rivoluzione il centro-destra sarebbe in grado di attuarla senza una sponda sul versante del Partito democratico, che dopotutto come segretario ha appena eletto Bersani, il più liberale fra i suoi uomini che contano.

Come cittadino, mi auguro naturalmente che i due schieramenti si mettano d'accordo sulle regole del gioco. Ma ancora di più mi auguro che, anziché continuare a delegittimarsi a vicenda, approfittino della miracolosa congiunzione astrale che ci attende - tre anni senza elezioni - per competere fra loro nel compito che entrambi assegnano a se stessi, quello di rendere l'Italia di domani un po’ più moderna e più libera dell'Italia di oggi.

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