giovedì 25 febbraio 2010

Talk-show über alles





di Furio Colombo

Santoro, tante volte giustamente difeso in nome della libertà del suo lavoro e del suo programma, pensa che questa difesa sia una dichiarazione di sacralità, una sorta d’inchino collettivo.

Questa persuasione divide il mondo (o almeno la sua audience) in credenti e miscredenti. I miscredenti gli sono antipatici anche se hanno fatto la fortuna di Annozero. Per esempio Marco Travaglio, a cui Santoro sembra dedicare la classica frase delle aziende di Confindustria al bravo manager improvvisamente licenziato: “Mio caro, nessuno è indispensabile”. È una frase da Luiss nei giorni peggiori, ma a Santoro piace. E infatti nella sua lettera un po’ padronale così si rivolge – imprudentemente – a Travaglio, la persona che gli spettatori di Annozero, il giovedì sera aspettano di più. In questa lettera però il condottiero di Annozero non può perdonare la mancanza di adorazione neppure a chi, come Paolo Flores d’Arcais, ha riempito piazze e numeri di Micro-Mega in difesa di Santoro e della sua televisione. E a me dedica la frase che segue e che un po’ sfida il buon senso, un po’ la comune conoscenza dei fatti, un po’ il pubblico stesso di Annozero: “Un apologeta del Berlusconi-pensiero sul ‘pollaio’. Proprio come Furio Colombo e le sue invettive contro i talk-show”. Noto, con tristezza l’uso della parola “invettiva” in luogo della parola “critica”, un’involontaria concessione al linguaggio pacato di Bondi. Continua Santoro: “D’Arcais e Colombo sono convinti che debba regnare l’ordine del discorso (scritto) che, ovviamente per loro, non è quello del telegiornale di Minzolini ma quello di Report, celebratissimo esempio di trasmissione basata sul principio d’identità e non contraddizione”.

L’argomento è utile per capire.

Contrappone chiarezza e contraddittorio, come se si trattasse di una scelta (o l’una o l’altro) tra incompatibili opposti e illustra i principi a cui Santoro (ma anche gli altri conduttori di talk-show) ispira il suo lavoro che sente come “insostituibile” e unico.

Sulla qualità non c’è discussione.

Persino Porta a Porta è un programma tecnicamente molto buono. E se si potessero doppiare gli interventi, come nei film americani, si avrebbe un buon programma.

Quanto a Ballarò colpisce la felicità giovane e orgogliosa del conduttore Floris per il suo programma. Passeggia nell’etere di RaiTre con lo stesso gusto vincitore con cui si porta in giro in città la prima bella ragazza conquistata nella vita, esibita con un silenzioso e infantile “vedete? È mia!”.

Ormai bisogna valutare l’insieme di questi programmi perché l’oltraggio di non considerarli la fine del mondo dell’informazione politica li ha fortemente legati.

Esempio: martedì sera (23 febbraio) Floris a Ballarò ha dato al suo programma una copertina alla copertina del bravissimo comico Crozza. Il protagonista era Roberto Natale (Federazione della stampa) invitato in modo un po’ perentorio a dire come sarà povera la televisione e il mondo quando Ballarò e i suoi fratelli saranno sospesi per insufficienza di rappresentanza politica. Al suo Ballarò, Roberto Natale se l’è cavata bene. Ha suggerito “grandi temi importanti per tutti senza invitare i politici”. Buona idea, non per far felice la Commissione di Vigilanza, non per antipolitica, ma per salvarsi dalla claustrofobia, unica in occidente, dei talk-show italiani.

Floris stava chiedendosi in pubblico e senza imbarazzo che cosa ci riserva il destino se improvvisamente dal Suo, o da altri programmi analoghi, mancassero “loro”. Chi sono loro? Sono “gli ospiti”, sono sempre gli stessi, chi per intere legislature, chi per lunghi anni, a cavallo fra un governo e l’altro.

Ed ecco gli ospiti di Floris la sera del 23 febbraio: Bersani (invece di Franceschini), Scaiola (invece di Bondi), Bocchino (invece di Cicchitto), Polito (invece di Adornato), Todini, giovane imprenditrice carina (invece di Guidi, giovane imprenditrice carina, invece di Marcegaglia che non può esserci sempre). Fate presto a immaginare i nomi di riserva, non più di dieci in uno stretto elenco senza eccezioni. Dai rispettivi elenchi nessuno sgarra mai.

Floris si pone come fine massimo l’accostare le due parti e indurle a “fare insieme”.

Vespa punta con accortezza al trionfo del regime.

Santoro è un domatore nato: vuole scontro e sangue ma tocca a lui tenere a bada le belve. Delle eventuali vittime (la reputazione di Travaglio) gli importa poco. Ma le sue belve sono sempre le stesse, come gli ospiti del salotto di Vespa, una “short list” che fa ruotare sempre le stesse persone fidate, dieci politici su mille in servizio, e tutto il resto del mondo escluso. Infatti i conduttori, per sopravvivere, scelgono i politici assieme ai politici. E i politici scelgono sempre se stessi. Sicuro che non abbia ragione Roberto Natale quando dice: “Grandi temi, niente politici, come nei talk-show nel resto mondo”?

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