martedì 30 marzo 2010

La Lega parla milanese B. non trascina più


Formigoni vince altissimo astensionismo

di Gianni Barbacetto

Alle prime proiezioni dei risultati elettorali, ieri, il leghista Andrea Gibelli, futuro numero uno del Carroccio in Regione Lombardia, aveva avvertito: “Abbiamo acceso il fuoco sotto la polenta”. Da servire a Ignazio La Russa, come accompagnamento all’asino: perché il ministro della Difesa aveva promesso di mangiarsi un asino vivo, in caso di sorpasso del Pdl da parte della Lega. Il sorpasso alla fine non c’è stato e l’asino è salvo. Ma la polenta è servita comunque a festeggiare l’ottimo risultato del partito di Umberto Bossi: attorno al 26-27 per cento, con il Pdl tra il 31 e il 32.

In Lombardia, Roberto Formigoni sapeva di non avere molto da temere: ha confermato il suo consenso e si attesta (a spoglio non ancora concluso) attorno al 56 per cento. La formidabile macchina di potere della sua area ciellina ha tenuto bene. E si è sommata all’avanzata leghista. Eppure perfino qui, nella Lombardia dove il risultato era sicuro ancor prima di giocare la partita, si vedono i segni della crisi di Silvio Berlusconi e del suo sistema. Li evidenzia nettamente l’astensionismo, fortissimo. I votanti sono stati il 64,7 per cento, erano il 73 per cento alle scorse Regionali, nel 2005. Il primo partito della più ricca regione d’Italia è dunque il partito dei non votanti, cresciuto più dell’8 per cento.

Un astensionismo in parte di centrodestra: segnala che Silvio non incanta più, non convince, non riesce a far andare a votare una parte dei suoi sostenitori d’un tempo. La Lega compensa: era sotto il 16 per cento alle scorse Regionali, ora guadagna una decina di punti e incassa un successo straordinario. Tanto che il grande capo, alla prima conferenza stampa nella sede milanese di via Bellerio, a risultati ancora parziali, lancia la sua candidatura a sindaco di Milano. Un primo segnale di guerra dentro il centrodestra. I leader del Pdl si mostrano sorridenti, celebrano la vittoria, ma il loro stomaco è accartocciato, come se avessero mangiato il povero asino evocato da La Russa. I conti, comunque, li faranno più avanti, con Andrea Gibelli che si prepara a diventare il vicepresidente della Regione, un numero due fortissimo di un Formigoni che ha tenuto, ha evitato al Pdl una flessione, ma non riuscirà a evitare, nelle prossime settimane, la resa dei conti tra ex Forza Italia ed ex An, ma soprattutto tra ala ciellina e ala “laica” (quella guidata dal presidente della Provincia di Milano Guido Podestà) che sarà accusata di aver indebolito il partito, permettendo così che la Lega occupasse gli spazi lasciati liberi a destra.

A sinistra, Filippo Penati si mostra soddisfatto. Si attesta attorno al 33 per cento (a dati ancora parziali) e segnala che a Milano ha avuto risultati anche migliori. Da dentro il suo partito, il Pd, arrivano però commenti velenosi: nel 2005, lo sconosciuto e tanto vituperato (allora) candidato dell’Unione, Riccardo Sarfatti, aveva conquistato il 43 per cento. Dieci punti in più di Penati, oggi braccio destro del segretario del Pd Pier Luigi Bersani. E anche a Milano non è avvenuto il miracolo che Penati sognava: battere Formigoni almeno in città, per poi diventare il prossimo candidato sindaco del centrosinistra. L’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro gioisce del buon risultato ottenuto dentro la coalizione di centrosinistra. Vola sopra il 6 per cento, con un Pd che fatica a raggiungere il 23. Qualcosa gli ha tolto, nel suo stesso bacino elettorale, la lista Cinquestelle, ispirata al movimento di Beppe Grillo, il quale, nel silenzio di giornali e tv, ha riempito piazza del Duomo alla fine della campagna elettorale, come non sarebbe riuscito a fare alcun leader di partito. In Lombardia la lista Cinquestelle schierava un candidato assolutamente sconosciuto, Vito Crimi, eppure ha sfiorato la soglia fatidica del 3 per cento, quella che permette di portare eletti dentro il consiglio regionale. Si è fermata invece decisamente sotto quella soglia, attorno al 2, la Federazione della sinistra (con Rifondazione comunista e Pcdi), che aveva espresso il candidato presidente Vittorio Agnoletto. È la fine, anche in Lombardia, di un pezzo di storia e di un pezzo di sinistra, che, già uscita dalle aule parlamentari, esce ora anche dal consiglio regionale.

L’Udc, rappresentata dalla faccia paciosa di Savino Pezzotta, ha raccolto un risultato tra il 4 e il 5 per cento. Alle sue spalle, il vecchio democristiano Luigi Baruffi, che subito dichiara: entriamo in consiglio regionale, dove faremo sì opposizione, ma ben diversa da altre opposizioni: costruttiva e pronta a sostenere Formigoni sui temi della famiglia e della politica sanitaria.

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