giovedì 29 aprile 2010

Un nuovo rebus per Napolitano


di Lorenza Carlassare

La pervicacia della maggioranza di governo nel riproporre leggi dirette al medesimo scopo - salvare Silvio Berlusconi dai processi - sarebbe veramente apprezzabile se indirizzata a più nobili fini nell’interesse del paese. Più che l’arroganza colpisce la determinazione cieca con cui la maggioranza procede senza concedersi soste. È del 7 aprile la legge sul ‘legittimo impedimento’ - provvisoria, si legge ( art.2), in attesa di una legge costituzionale - che ripropone norme dichiarate illegittime già sottoposte dai giudici di Milano, come le precedenti, al controllo di costituzionalità. Una mossa e una contromossa si susseguono in questo pericoloso gioco che ha per posta il rispetto delle regole di una democrazia costituzionale. Il ricorso alla legge costituzionale sarebbe la mossa vincente che chiude definitivamente la partita a vantaggio della maggioranza la quale, usando il procedimento dell’art.138, ha l’ultima parola.

È proprio vero? È vero, come oggi si legge, che la scelta del ddl costituzionale risponde alle indicazioni della Corte Costituzionale che aveva bocciato il ‘Lodo Alfano’ perché approvato con legge ordinaria?

Alcune precisazioni sono necessarie. Da tempo (1988) e a più riprese la Corte costituzionale ha affermato che esistono limiti alla revisione costituzionale: i diritti fondamentali e i principi supremi.

Che il principio di eguaglianza sia fra questi non v’è dubbio alcuno. Nelle sentenze sui due ‘lodi’ precedenti ha affermato (n.24/2004) e ribadito (n. 262/2009) che “alle origini della formazione dello stato di diritto sta il principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione”.

Va ancora sottolineato che in tali decisioni non è mai stato detto che se adottate con legge costituzionale quelle norme sarebbero state legittime, ha solo detto – rispondendo a ciò che le era stato chiesto com’è obbligata a fare - che la legge ordinaria non poteva regolare la materia delle prerogative, disciplinata dada norme di rango costituzionale. Ma soprattutto vi è un passaggio della sentenza che va sottolineato: gli istituti di protezione delle funzioni (immunità e simili) “non solo implicano necessariamente una deroga al principio di eguaglianza, ma sono anche diretti a realizzare un delicato e complesso equilibrio tra i diversi poteri dello Stato” E la “complessiva architettura costituzionale, ispirata al principio della divisione dei poteri e del loro equilibrio esige che la disciplina delle prerogative debba essere intesa come uno specifico sistema normativo, frutto di un particolare bilanciamento e assetto di interessi costituzionali”.

Vale a dire - mi sembra - che ogni modifica non solo spetta a leggi costituzionali, ma deve inquadrarsi in un sistema armonicamente, non rompendone la trama. Ora, tutta la materia delle ‘prerogative’ è strutturata sulla considerazione dei soli reati commessi nell’esercizio delle funzioni, non sui reati comuni. Potremmo pensare che il Presidente, immune possa, ad esempio, sparare da uno dei Palazzi sui passanti molesti? Una simile disarmonia non romperebbe il delicato ‘sistema’? Ammesso che i limiti alla revisione rendano incostituzionale la legge eventualmente approvata, quali sono i rimedi?

Il primo, questa volta, non è il presidente della Repubblica, ma il ‘popolo sovrano’: sulla legge costituzionale può essere chiesto un referendum entro tre mesi dalla seconda approvazione.

I cittadini che nel 2006 hanno bocciato la riforma pensata dai ‘saggi’ a Lorenzago ora potrebbero dire no alle immunità; non è neppure immaginabile che la seconda approvazione avvenga a maggioranza dei due terzi (che escluderebbe il referendum). In questo catastrofico caso, al momento di promulgare il presidente della Repubblica si troverebbe in una difficile posizione.

Il rifiuto assoluto gli è consentito soltanto nel caso estremo di attentato alla Costituzione, e questo non lo è.

È anche discusso se il potere sospendere la promulgazione rinviando la legge alle Camere sia esercitabile quando si tratti di una legge costituzionale; per la complessità della procedura che dovrebbe rimettersi in moto e, qualcuno dice, perché di fronte ad un’eventuale maggioranza dei due terzi col consenso delle opposizioni non sembra che egli possa formulare obiezioni.

Questo argomento convince poco: il consenso delle opposizioni, l’accordo condiviso, riguarda il piano politico ma non significa nulla sul piano della legittimità. Su alcune cose, le ‘protezioni’ e gli ‘scudi’ in particolare (ha ricordato Franco Cordero in un’intervista a questo giornale) non sono mancate responsabilità ‘condivise’.

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