lunedì 31 maggio 2010

Anna Finocchiaro: «Voi ci aiutate. Al Senato ci batteremo fino in fondo»


di Simone Collini

"Ma quale tutela della privacy. La verità è che vogliono intralciare con ogni mezzo ben precisi processi e impedire ai cittadini di sapere quel che realmente accade. Ora è arrivata la perla finale: le norme si dovrebbero applicare anche alle indagini in corso. Evidentemente c’è qualche posizione da aggiustare, hanno qualche interesse perché alcune indagini in corso finiscano sotto queste tagliole nuove di zecca”. Oggi inizia la discussione in Aula al Senato del disegno di legge di riforma delle intercettazioni, e Anna Finocchiaro si prepara a dar battaglia. “Faremo di tutto per evitare di far approvare questo provvedimento, sarà un’opposizione durissima”, dice la capogruppo dei senatori Pd. Che oggi, prima della seduta a Palazzo Madama, si riuniranno per decidere come sostanziare concretamente questo “di tutto”. Magari fino all’occupazione dell’aula. “Lo vedremo insieme, io non ho mai preso una decisione da sola, e questo i miei senatori lo sanno bene”, dice Finocchiaro. Che però aggiunge anche: “Siamo di fronte a un provvedimento estremamente grave. Spero ce ne sia piena consapevolezza”.

Dice che gli emendamenti della maggioranza non hanno migliorato il testo?

«C’è stato qualche aggiustamento, ma l’intervento è comunque insoddisfacente. Tra l’altro, se la maggioranza si fosse risparmiata prima certi emendamenti concordati col governo e avesse mantenuto il vecchio testo uscito dalla Camera, avremmo risparmiato tempo».

Questo per dire cosa?

«Che la responsabilità del ritardo è tutta della maggioranza e del governo. Non si sognassero di dire che sono costretti a mettere la fiducia perché l’ostruzionismo dell’opposizione allungherebbe i tempi. Hanno fatto un balletto indecoroso, prima modificando il testo originario e poi rimangiandosi tutto. Il ricorso alla fiducia sarebbe ancora più illogico. Oltreché grave, vista la follia di questo provvedimento».

Follia?

«Sì, perché sostengono che con questo provvedimento si vuole mantenere segreto il contenuto delle intercettazioni e poi stabiliscono che l’autorizzazione a intercettare deve essere rilasciata dal tribunale del capoluogo del distretto».

E allora?

«E allora immaginiamo queste carte che partono per il capoluogo del distretto, che tra l’altro verrà oberato di richieste da tutte le procure, per poi tornare indietro, un va e vieni continuo, perché lo stesso procedimento sarà necessario anche per le proroghe. Quante altre persone oltre a quelle delle procure verranno a conoscenza del fatto che si sta procedendo a intercettazioni telefoniche? Quante altre occasioni di fuga di notizie?».

L’opposizione contesta anche il fatto che le nuove norme si applicherebbero anche alle indagini in corso, ma la maggioranza risponde che il Quirinale ha sottolineato il rischio che in caso contrario si creerebbe una disparità di trattamento.

«Non si azzardino a scaricare sul Quirinale loro precise responsabilità. La verità è che c’è qualche posizione da aggiustare, hanno qualche interesse perché certe indagini in corso subiscano queste tagliole».

Lei dice tagliole, il centrodestra dice tutela della privacy e limiti all’abuso dello strumento.

«Non è così. Il problema della tutela della privacy c’è. Noi stessi abbiamo presentato a inizio legislatura due testi che mirano a creare un archivio riservato e ad evitare la pubblicazione di intercettazioni non rilevanti. Se fosse stato questo il punto, avremmo trovato subito un accordo. Ma loro, dietro questo paravento della privacy puntano in realtà a un sistema che limita la possibilità stessa di intercettare, limando le unghie agli investigatori. Tant’è vero che protestano anche i funzionari di polizia, oltre che i magistrati e il procuratore antimafia. Vogliono rendere il più difficile possibile le intercettazioni telefoniche, rendere più complicato indagare su certi reati, intralciare con ogni mezzo ben precisi processi. E puntano a introdurre un vero e proprio sistema di censura preventiva. Con, tra l’altro, questa perla che si puniscono gli editori. In molti casi si tratta di società, e allora cosa c’entra la responsabilità penale? Il direttore può avere colpa per non aver vigilato su ciò che viene pubblicato sul suo giornale. Ma sulla base di quale profilo viene punito l’editore? Se si incaricano di esercitare una vigilanza, gli editori si faranno qualche calcolo, ed è già chiaro come andrà a finire. Molti giornali piccoli chiuderanno e in quelli che non chiuderanno gli editori eserciteranno un controllo di censura che si sovrapporrà a quello stabilito da questo provvedimento».

Di fronte a tutto questo, che cosa farà il Pd?

«Il proprio dovere, fino in fondo, come abbiamo fatto finora in commissione».

In Aula arriva però un testo che non vi piace.

«E infatti riteniamo che l’insufficienza degli emendamenti approvati e il fatto che ci siano settori della stessa maggioranza che continuano a sollevare perplessità su questo testo obblighino un ritorno in commissione».

E se invece la maggioranza si rifiutasse e spingesse per approvare subito il disegno di legge?

«“L’assemblea dei senatori del Pd deciderà come procedere».

È sempre in campo l’ipotesi di occupare l’Aula?

«Sarebbe un gesto simbolico forte, ma quello che faremo lo decide l’assemblea del gruppo, non la sola capogruppo. Io non ho mai deciso da sola. I miei senatori lo sanno bene. Quel che è certo è che il provvedimento che abbiamo di fronte è estremamente grave. Spero ce ne sia piena consapevolezza».

Nell’opinione pubblica sicuramente, a giudicare dalle manifestazioni e iniziative di disobbedienza civile. Come le giudica?

«Ci danno una gran mano. E il fatto che in questo paese che sembrava narcotizzato si vedano manifestazioni di reazione civile è sicuramente un buon segno».

«Noi diciamo NO disobbediamo», abbiamo scritto in prima pagina annunciando che l’Unità violerà le norme della legge in discussione.

«E’ una forma di protesta molto incisiva. In gioco non c’è solo la libertà dei giornalisti di scrivere ma la libertà dei cittadini di essere informati su quello che accade. Questo è il controllo democratico, che ha sorretto molti passaggi difficili della nostra storia. E non bisogna mai dimenticare che la giustizia è amministrata nel nome del popolo. Che ha il diritto di avere tutte le informazioni per poter correttamente giudicare».

31 maggio 2010

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