sabato 31 luglio 2010

FINIANI IN LIBERTÀ


Con una conferenza stampa-lampo, l’ex leader di An formalizza lo strappo irreversibile: “Berlusconi è illiberale”

di Luca Telese

Qualcuno era finiano. Qualcuno era finiano, ma per i motivi più diversi. “In due ore, senza la possibilità di esprimere le mie ragioni, sono stato di fatto espulso dal partito che ho contribuito a fondare....”. Qualcuno era finiano, per orgoglio, ma anche per motivi contrapposti. Come la racconti, allora, questa strana guerra-lampo, la conferenza stampa più breve della storia? “Non darò le dimissioni - dice Gianfranco Fini - il presidente non deve certo garantire la maggioranza che lo ha eletto. Sostenerlo dimostra una logica aziendale”.

Come lo racconti questo Fini rapsodico che appare e scompare senza rispondere alle domande dei giornalisti, scandendo il suo epigramma di guerra al berlusconismo con i tempi di una pillola che pare confezionata apposta per andare su Youtube? Per una volta, in realtà, dicono più le facce che le parole, conta più il tempo dell’attesa che quello della celebrazione del capo. Roma, ore 15.00, hotel della Minerva, il giorno di Gianfranco Fini. Tra sofà e tappeti, una saletta piena come un uovo, un’attesa più lunga del discorso, un catino di storie che nessuno potrebbe immaginare di ritrovare insieme. Qualcuno era finiano, in fondo, perché amava la battaglia.

MENTRE ASPETTI guardi le facce e ti rendi conto che c’è quasi più varietà antropologica nella platea neofiniana che nelle sedute degli ultimi congressi di An. Per dire: c’è in prima fila il ministro Andrea Ronchi, il più berlusconiano dei finiani, che alla fine però non ce l’ha fatta a separarsi dal suo leader. E poi, c’è la pattuglia degli indomabili vietcong ex rautiani, la spina dorsale del nuovo partito: Flavia Perina, Fabio Granata, Pasquale Viespoli. Quindi i personaggi che non ti aspetti proprio di trovare. Ma come, quello in quarta fila non è Gustavo Selva? E quello che si muove alla destra del palco, non è Alfredo Iorio, leader del movimento politico Il Trifoglio, area ultra-destra sociale, nato intorno al culto del cuore nero Mikis Mantakas? Il Trifoglio è noto per le sue campagne tradizionaliste-choc, come quella sull’”Uomofobia”. Cosa c’entra il Trifoglio con il “laicismo di Fini? Iorio sorride e spiega: “Sì, ma quando si deve scegliere, cosa c’entriamo noi con Berlusconi?”. Ecco Benedetto Della Vedova, e Sofia Ventura: ex radicali, libertari, liberisti. Qualcuno era finiano perché non amava una destra conservatrice. Guardi le facce assiepate nella sala, prima che arrivi Fini, guardi Donato La Morte e Checchino Proietti, il mitico Imperi, uomo macchina storico di via della Scrofa (ancora e orgogliosamente fascistissimo), guardi Italo Bocchino, il più liberale, sempre impeccabile e inamidato, li guardi tutti, in questa straordinaria foto di gruppo, e capisci che Fini ancora una volta è riuscito nell’impresa ricorrente della sua vita, rigenerarsi, risorgere dalle sue stesse ceneri.

E ci è riuscito, l’ex leader di An, grazie a Silvio Berlusconi. Qualcuno era finiano perchè era fascista, qualcuno era finiano perchè era antifascista, qualcuno per noia, qualcuno per anticonformismo, qualcuno per follia, qualcuno per abitudine. Qualcuno per antica amicizia come Roberto Menia. Qualcuno perché era conservatore, qualcun altro perchè era progressista, qualcuno perchè non aveva nulla di meglio da fare. Tutti, però, in diversi modi, ieri erano finiani per diversi modi di interpretare il loro antiberlusconismo. E questo Gianfranco Fini lo sa bene. C’è già il nome, Futuro e libertà, molto più “Vendoliano”, di Azione Nazionale, quello che era trapelato per primo. C’è già un nuovo partito, una struttura, i soldi, per cui si combatterà nei tribunali, quelli della vecchia An.

L’INGRESSO IN SCENA è molto teatrale, quasi una fucilata. Fini sale sul palchetto, saluta, ringrazia, si aggiusta la cravatta e legge il suo telegramma: “La concezione non propriamente liberale della democrazia che l’onorevole Berlusconi dimostra di avere - scandisce il presidente della Camera - emerge anche dall’invito a dimettermi perchè allo stato sarebbe venuta meno la fiducia del Pdl nei confronti del ruolo di garanzia del presidente della Camera indicato dalla maggioranza che ha vinto le elezionì....”. Sì, c’è un pezzo di destra che si ritrova con Fini per una scelta di pancia, più che per una scelta ideologica. Perché segue il suo antico capo, perché riscopre una vena di anticonformismo emozionale molto più missino che aennino. Aggiunge Fini: “Ieri è stata scritta una brutta pagina per il centrodestra e più in generale per la politica italiana. Ma quanto accaduto ieri - prosegue - non ci impedirà di preservare i valori autenticamente liberali e riformisti del Pdl e di continuare a costruire un futuro di libertà per l’Italia”. Poi le parole sulla solidità della maggioranza, che faranno sobbalzare sulla sedia i capi del Pdl, che la sera si riuniscono per valutarle: “Qui ci sono uomini e donne che sosterranno lealmente il governo ogni qual volta agirà davvero nel solco e che non esiteranno a contrastare scelte dell'esecutivo ritenute ingiuste o lesive dell'interesse generale”. Parole che fanno traballare i numeri del governo. Il presidente della Camera è molto chiaro: “Avverto come preciso dovere anche per onorare il patto con quei milioni di elettori del Pdl onesti, grati alla magistratura e alle forze dell’ordine, che non capiscono perchè nel nostro partito il garantismo, principio sacrosanto, significhi troppo spesso pretesa di impunità”. Qualcuno era finiano, ieri, perché era convinto che si fosse chiusa un’era.

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