lunedì 31 gennaio 2011

“La misura è colma, democrazia a rischio”


di Gian Carlo Caselli

Il 12 gennaio 2002, in questa stessa aula, inaugurando anche allora l’Anno giudiziario, Maurizio Laudi – parlando a nome dell’Associazione magistrati – ebbe a dire: “Ci indigna che il capo del governo, in sede internazionale, rappresenti l’azione di alcuni uffici giudiziari come atto di persecuzione politica. Ci indigna perché queste accuse non sono vere e perché vengono ripetute come verità acquisite che non richiedono di essere provate”.

Parole coraggiose, necessarie per arginare una pericolosa deriva già allora in atto. Deriva che, peraltro, è continuata. Come fosse ossessionato dai suoi problemi giudiziari, il presidente Berlusconi ha moltiplicato gli interventi volti ad indurre, nei più, l’immagine della giustizia come “campo di battaglia” fra interessi contrapposti, anziché luogo di tutela di diritti in base a regole prestabilite; contribuendo così alla devastazione di tale immagine. La tecnica della ripetizione assillante che trasforma in verità anche i falsi grossolani continua a essere applicata in modo implacabile . E dopo aver proclamato la necessità di istituire una commissione parlamentare d’indagine per accertare se la magistratura opera con fini eversivi, il capo del governo ha sostenuto (in un videomessaggio trasmesso a reti unificate) che i Pm devono essere “puniti”, mentre si preannunziano manifestazioni di piazza contro i giudici “politicizzati” per il prossimo 13 febbraio.

Così la misura è colma. Non la misura della nostra pazienza (l’impopolarità dei magistrati nelle stanze del potere è fisiologica e talora necessaria per una giurisdizione indipendente: la provarono in vita anche Falcone e Borsellino...). Vicina al livello di guardia è la misura della compatibilità con le regole di convivenza istituzionale proprie di un sistema democratico.

Nessun leader democratico al mondo ha mai osato sostenere che “per fare il lavoro (di magistrati) bisogna essere malati di mente; se fanno questo lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana”. Il presidente Berlusconi invece lo ha sostenuto.

Nessun leader democratico al mondo (ancorché inquisito) ha mai osato parlare di “complotto giudiziario” ordito ai suoi danni da magistrati indicati come “avversari politici”. Le reazioni dei personaggi pubblici inquisiti – all’estero – sono le più svariate, ma sempre contenute in un ambito di accettazione e rispetto della giurisdizione. Solo in Italia si lanciano contro la magistratura, senza prove, grottesche accuse di macchinazione o persecuzione; quando si deve leggere, piuttosto, insofferenza per il controllo di legalità e per la rigorosa applicazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale.

Nessun leader democratico al mondo coinvolto in vicende giudiziarie si è mai sognato di difendersi DAL processo anziché NEL processo. In Italia, invece, il premier ha sperimentato una strategia di contestazione del processo in sé, quasi una sorta di impropria riedizione del cosiddetto processo di rottura da altri praticato in passato.

Sotto nessun cielo democratico del mondo il potere politico ha mai operato sui giudici interventi per ottenere una certa interpretazione della legge o si è sostituito ad essi nell’interpretazione. Sarebbe un vulnus intollerabile al principio della separazione dei poteri. Solo in Italia si registrano simili strappi. Basti ricordare la mozione approvata dalla maggioranza del Senato il 5 ottobre 2001, per indicare ai giudici (testualmente) “l’esatta interpretazione della legge” dopo una pronunzia di tribunale in tema di rogatorie non gradita al Palazzo. Oppure la decisione di due giorni fa della Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio, che ha stabilito quale ufficio giudiziario sia competente a procedere in una specifica indagine (ovviamente qui non si fa questione di merito, ma solo – per così dire – di titolarità della competenza a stabilire la competenza).

Invece di indulgere a un riequilibrio dei poteri a danno delle prerogative costituzionali della magistratura (quella requirente in particolare); sarebbe tempo di pensare, finalmente, a una vera riforma della giustizia, capace di migliorare l’efficienza del sistema e di ridurre i tempi dei processi.

Infine, chi parla a vanvera di “partito dei giudici”, voglia prendere atto che un “partito dei giudici” esiste davvero, ma nell’accezione dello storico Salvatore Lupo, secondo cui è “attraverso l’impegno di alcuni e (purtroppo) il martirio di altri, che l’idea del partito dei giudici prende forma. Nasce dalla sorpresa che, in un’Italia senza senso della patria e dello Stato, ci siano funzionari disposti a morire per il loro dovere, per questa patria e per questo stato. Ad ogni funerale, ad ogni commemorazione prende forma l’idea di per sé contraddittoria dei magistrati come rivoluzionari, in quanto portatori di legalità”. Ecco: definire “cospiratori” coloro che sono semplicemente portatori di legalità, non è solo offensivo. È soprattutto profondamente ingiusto.

(Questo è il testo integrale dell’intervento del procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli pronunciato ieri all’inaugurazione dell’anno giudiziario).

Nessun commento: