sabato 30 aprile 2011

IL SOLITO VALZER



Libia: la Lega minaccia la crisi di governo
Ma con B. è un balletto all’ombra del voto

di Sara Nicoli

A guardarli litigare si potrebbe pensare che si sia davanti all’ennesima messinscena, all’ultima trovata del duo Bossi-Berlusconi per tenere buona la base dei rispettivi partiti senza poi far perdere smalto a un’alleanza ormai quasi ventennale. Qualcosa, però, stavolta stride con lo schema di sempre. E insinua il sospetto; negli scambi di invettive degli ultimi giorni tra Lega e Pdl si nasconde di più del semplice gioco delle parti. Certo, l’unione di convenienza è destinata a durare fin dopo le amministrative. Bossi lo ha assicurato anche l’altra sera che in questa fase non farà “cadere il governo”. Poi, però, la musica del tango potrebbe cambiare. Calderoli lo conferma: “Partito il primo raid sulla Libia, tutto è diventato più difficile, mentre l’immigrazione è destinata a crescere sempre di più… ad oggi non vedo vie d’uscita”. Non ce ne sono, infatti. Dopo le urne il chiarimento sarà inevitabile.

Bossi pare avere intuito che a Milano le elezioni possono finire male. Casomai non proprio malissimo, con una sconfitta, ma comunque al ballottaggio e con una vittoria di misura. Certo, l’affaire Lassini ha fatto guadagnare punti al Pdl, mentre ha scollato ancora di più il popolo leghista che di vedere l’autore dei manifesti anti giudici “brigatisti” in consiglio comunale non vuole sentire parlare. Sono giorni che il senatùr ascolta le urla di scontento del suo popolo nei microfoni di Radio Padania e agisce di conseguenza. Perché, insomma, la stagione dell’alleanza granitica tra Lega e Pdl, caposaldo del governo, non paga più in termini elettorali. Men che meno sulla lunga distanza, par di capire.

Ci sono troppe cose che ora dividono gli alleati di sempre. Prima l’immigrazione, poi il caso Parmalat, infine la Libia e quel cambio di rotta improvviso di Berlusconi in politica estera senza neppure un cenno d’avvertimento, paiono aver minato in modo robusto un matrimonio che sembrava inossidabile. Il cahier de doleance del Carroccio si fa ogni giorno più lungo e velenoso nei confronti del Cavaliere. Che anche ieri, chiuso a Palazzo Grazioli per gran parte della giornata (ha saltato persino una conferenza stampa su Lampedusa dell’amata Brambilla) ha mandato segnali a Bossi, soprattutto attraverso Frattini, chiedendo ripetutamente di incontrarlo per “trovare la quadra”, come direbbe il senatùr. Ecco, la quadra stavolta pare più lontana. Il segnale arriverà martedì in aula, quando ci saranno da votare le mozioni sulla Libia e la Lega probabilmente si asterrà. “O forse – si sospirava ieri sera in via Bellerio – ci potrebbero essere molti assenti, quasi tutti...”. La strategia dello scontro frontale serve a massimizzare i voti delle ‘pance’ dei rispettivi partiti; “Se continuiamo a tirarci gli stracci – proseguiva la stessa fonte – gli antiberlusconiani della Lega verranno a votare e gli anti-leghisti del Pdl faranno lo stesso; ci conviene a entrambi di fare una campagna elettorale sull’onda di uno scontro forte”. Che i berluscones più accesi avevano intenzione di riproporre anche lunedì prossimo, quando Silvio sarà in Tribunale per il processo Mediaset. Era in previsione un’altra manifestazione sulle note di “Silvio Resisti”, solo che la Procura di Milano ha vietato il permesso. Così può anche darsi che il premier diserti l’aula del tribunale, accampando la scusa di dover incontrare qualche capo di Stato arrivato a Roma per la beatificazione di Wojtyla. Se non c’è la manifestazione, a che serve andare dai giudici?

ECCO, ANCHE questa è una delle tante cose che Bossi non manda giù, ma non l’unica. Vorrebbe Matteo Salvini come vice sindaco di Milano in caso di vittoria della Moratti, ma Silvio non gli ha ancora dato risposta. Ha chiesto di non dare tutti e otto i posti vacanti da sottosegretario ai responsabili (“che poi sono tutti del sud”, sarebbe stato il suo commento), ma di lasciarne almeno tre alla Lega in modo da rinforzare la posizione nel governo, ma anche su questo Berlusconi gli ha dato il due di picche. Infine quel voltafaccia su Gheddafi e il sì ai bombardamenti senza neppure avvertirlo. Certo, un calcio Bossi lo ha assestato al Cavaliere con quella battuta dell’essersi messo in ginocchio da Sarkozy, ma il veleno era da leggere tra le righe; il senatur sa quanto Berlusconi tiene agli accordi siglati con la francese Edf sul fronte della fornitura del gas e del nucleare, di lì la coltellata. Infine c’è la questione più spinosa, che riguarda Tremonti. Ma soprattutto la Banca d’Italia. La Lega, con il ministro dell’Economia, punta a mettere al posto di Draghi (in vista della poltrona più alta della Bce) il fedelissimo Grilli, mentre Berlusconi, che non è mai riuscito ad incidere nel salotto bancario di via Veneto, stavolta non vuol fare tappezzeria. Insomma, non sono pochi e leggeri i motivi di distanza tra Bossi e Berlusconi, ma sono tanto palesi da convincere il coordinatore di Fli, Roberto Menia, a levare il tappeto per mostrare la polvere: “Questa urlata insofferenza tra Pdl e Lega, che finisce a pacche sulle spalle, nasconde nient’altro che un mercato delle vacche, altrimenti ci dovrebbe essere voto di rottura in Parlamento”. Che invece, come si diceva, non ci sarà. Anche ieri sera, infatti, Bossi è salito sul palco di Milano per la manifestazione in sostegno di Letizia Moratti mentre Berlusconi blandiva l’elettorato cattolico ricordando Wojtyla come se fosse stato un suo parente stretto giurando di non aver mai fatto una legge “contro i valori cristiani”. Contro la Costituzione, invece, eccome. Comunque, la verità è che a Bossi non dispiacerebbe vedere Tremonti presto al posto del Cavaliere per finire una legislatura e portare a casa, definitivamente, il federalismo. Con Silvio a Palazzo Chigi e tutti i suoi guai personali il risultato potrebbe non essere altrettanto scontato. Ecco perché, dopo le elezioni, comincerà un’altra partita e i referendum saranno l’ultimo banco di prova della tenuta dell’alleanza e della maggioranza di governo. Sempre che ci si arrivi.

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