lunedì 30 maggio 2011

Usa-Cina la fatica del potere

BILL EMMOTT

Desideriamo tutti la semplicità, o almeno spiegazioni facili. Mentre Barack Obama compiva il suo tour trionfale, da celebrità politica numero uno in Europa, in tanti hanno voluto credere che l’America resta la potenza mondiale dominante, egemonica, nonostante tutte le profezie di un suo declino. Pochi giorni dopo, alla notizia che la Cina si sarebbe presto dotata di una base navale in Pakistan, in tanti l’hanno interpretata come una defezione di Islamabad nel campo cinese, a conferma che il potere andava a Oriente. Quale delle due affermazioni è corretta? Nessuna.

La realtà è molto più complessa. La natura e la distribuzione del potere nel mondo sono cambiate. E’ una mutazione avvenuta gradualmente nel corso degli ultimi decenni, ma ogni tanto un improvviso spiraglio di luce svela il grado di cambiamento.

Il raggio di luce che ha rivelato la vicenda del porto di Gwasar in Pakistan ha mostrato, in effetti, una di queste svolte. La Cina è stata alleata del Pakistan per più di tre decenni, essenzialmente a causa del desiderio cinese di accerchiare il suo grande rivale asiatico, l’India, con problemi e pressioni. I cinesi hanno fornito i piani tecnologici per il programma delle armi atomiche pachistane, e hanno dato a Islamabad aiuti militari negli Anni 1980-90.

Nel frattempo la Cina ha costruito con cura anche altre alleanze lungo le coste dell’Oceano Indiano, con la Birmania, lo Sri Lanka e il Bangladesh. Ma è stata anche attenta a non apparire troppo conflittuale. L’umiliazione subita dal Pakistan con il blitz americano per uccidere Osama bin Laden ha cambiato questa situazione, non dal punto di vista dei cinesi, ma dal punto di vista dei pachistani. Che all’improvviso hanno avuto un buon motivo per far vedere che non sono marionette americane, che hanno alternative. E così hanno rivelato quello che gli indiani sospettavano da anni: che l’aiuto cinese nell’espansione del porto di Gwadar comprende la concessione di strutture navali alla Cina: le prime che Pechino possiederà fuori dal proprio territorio.

Questo, a sua volta, rivela due circostanze nascoste e in parte contraddittorie. La prima è che, man mano che la Cina cresce economicamente, espandendo i suoi interessi in Africa, nel Golfo e in America Latina, è naturale che per proteggerli voglia proiettare il suo potere militare oltre le proprie coste. Dopo la fine della Guerra Fredda gli Stati Uniti sono rimasti praticamente l’unica potenza militare in grado di proiettare la sua influenza in tutto il mondo. Ora la base di Gwadar conferma che la Cina sta per entrare nel club, un fatto che senz’altro troverà conferma nel prossimo decennio, quando la Cina costruirà la sua flotta di portaerei.

La seconda circostanza svelata dall’annuncio del Pakistan ci fa capire che la Cina non è più in grado di controllare né di occultare la sua espansione globale. Era già successo qualcosa di simile nel febbraio scorso, quando la Cina doveva decidere se aderire alla risoluzione dell’Onu sulla Libia, Paese in cui lavoravano più di 30 mila cinesi. La tradizionale politica cinese sarebbe stata quella di astenersi. Ma per mostrarsi come una potenza globale emergente e collaborativa, invece che problematica, la Cina votò a favore, nonostante il fatto che la risoluzione contenesse la richiesta di portare il governo libico davanti al Tribunale penale internazionale per aver represso gli oppositori civili nello stesso identico modo in cui Pechino aveva fatto nel massacro di piazza Tiananmen nel 1989.

Dunque, la Cina ora ha più potere, grazie alla sua crescita economica, ma anche più problemi. Questo riguarda anche il suo potere economico, che ha reso la Cina sempre più importante per diversi Paesi, come partner commerciale, fonte di investimenti stranieri e donatore di aiuti (soprattutto in Africa e America Latina). Come il Giappone negli Anni 80, questo peso economico porta a Pechino un’influenza reale, accompagnata però da tensioni e scelte via via più difficili.

Nelle ultime settimane il Brasile, uno dei membri del cosiddetto Bric, ha cominciato a minacciare ritorsioni commerciali contro la Cina, se Pechino non apre il suo mercato ai prodotti agricoli e industriali brasiliani, e se non rivaluta la propria moneta, o addirittura lascia lo yuan libero di cercare il proprio valore autentico sui mercati internazionali. Chiunque avesse creduto che i Bric (Brasile, Russia, India e Cina, l’acronimo lanciato dalla Goldman Sachs per definire i giganti emergenti del futuro) avrebbero formato un’alleanza contro l’Occidente, dovrebbe forse ripensarci. Un raggio di luce ha messo in evidenza lo scontento brasiliano e mostrato che i Bric tendono a combattersi esattamente come fronteggiano l’Occidente.

Cosa dovrebbe fare l’Occidente? Forse sorridere, riconoscendo un’esperienza già avuta. Il potere ha molteplici dimensioni. Il potere apre opportunità ma porta anche scelte difficili. E soprattutto il potere è sempre più diffuso e diviso nel mondo, e non è un gioco a somma zero.

Che il potere sia multidimensionale non dovrebbe sorprendere nessuno.

Esiste il potere economico, l’uso del denaro e delle opportunità monetarie.

Esiste il potere ideologico, il modo in cui idee e valori possono influenzare gli altri, rivelando qualcosa sui comportamenti futuri e alleanze future.

Esiste il potere militare, l’uso diretto della forza bellica, o la minaccia di tale uso. E, in aggiunta a tutte queste varietà di potere in mano alle nazioni o alle associazioni sovrannazionali, esistono i poteri utilizzati da altre entità: grandi società, lobby, organizzazioni terroristiche, chiese.

Se guardiamo alle molteplici dimensioni del potere - economico, ideologico, militare, non governativo - diventa chiaro che la maggiore concentrazione di potere in diverse categorie continua a risiedere negli Stati Uniti. Ogni tanto la loro economia può apparire indebolita, i loro valori erosi, i suoi militari non invincibili, le sue società o le sue lobby declassate. Ma nessun altro Paese riesce a combinare tutte e quattro le dimensioni.

La Cina non possiede potere ideologico, né ha alcuna influenza attraverso organizzazioni non governative, in quanto non ne permette lo sviluppo. L’Europa è più forte nell’ideologia e nell’influenza non governativa, ma attualmente la sua forza economica è ostaggio della crisi dei debiti sovrani e dell’inflessibilità di molte delle sue economie, mentre i limiti del suo potere militare si possono osservare ogni giorno in Libia. Gli europei non riescono nemmeno a tener fede alle loro promesse di aiuti internazionali, come dimostra il caso penoso dell’Italia, Il Presidente Obama ha girato per l’Europa come celebrità politica numero uno, nonostante le sue debolezze, perché è il simbolo dei più grandi valori ideologici americani, la mobilità sociale e le opportunità. Ma anche perché il suo Paese viene tuttora visto come il più potente nel mondo, in tutte le sue dimensioni. La crisi finanziaria globale del 2008-10 ha eroso l’immagine economica dell’America, ma non l’ha distrutta. Il Paese si rivela sorprendentemente forte dopo la peggiore recessione dopo gli Anni 30, e resta un leader tecnologico ed economico.

Come ha detto il Presidente Obama nel suo discorso al Parlamento britannico la settimana scorsa, la leadership transatlantica continua a essere sia meritata che richiesta. Non esiste una sostituzione per essa, e la maggior parte del mondo continua a chiederla. Le rivolte popolari in Nord Africa e nel Medio Oriente hanno confermato l’importanza dell’idea occidentale di libertà e responsabilità dei governi. Ma la leadership transatlantica deve venire praticata in modalità che tengano conto di quanto il mondo sia cambiato.

Si tratta di un cambiamento estremamente positivo e benvenuto: grazie alla globalizzazione, lo sviluppo economico si è diffuso a un numero sempre maggiore di Paesi, facendo uscire centinaia di milioni di esseri umani dalla povertà. Questo significa che il potere è ora diffuso più che mai. Non è più concentrato in poche mani, ma si espande, in tutte le sue dimensioni.

Che si tratti di agire in Libia e nel resto del Nord Africa, o decidere la prossima guida del Fondo monetario internazionale, bisognerà prendere atto di questa diffusione del potere. Il mondo non gira intorno all’Occidente. Confrontarsi con la Cina sulla sua espansione nei mari non significa «contenerla», ma semmai trasformarla in un avversario. Se l’Afghanistan potrà mai essere stabilizzato, ciò richiederà la cooperazione tra tutti i vicini di quel martoriato Paese, inclusi India, Cina, Pakistan e perfino l’Iran.

Questo processo, questa diffusione di potere, richiede ancora una leadership. E questa leadership può venire solo dall’America, perché l’America resta l’unico leader che il mondo accetterà. Ma anche il leader oggi deve faticare di più per farsi accettare, e guadagnarsi la collaborazione degli altri.

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