mercoledì 29 giugno 2011

Bankitalia, per il dopo-Draghi accordo Tremonti-Berlusconi

MASSIMO GIANNINI

MARIO DRAGHI incoronato dall'Europa presidente della sua Banca centrale è un grande successo italiano. Ma non si fa neanche in tempo a brindare. La partita per la sua successione in Banca d'Italia è già entrata nel vivo. Lontano dalle luci della ribalta di Bruxelles, all'ombra dei palazzi romani, le diplomazie sono al lavoro da giorni. Ma la novità di queste ore è che il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, a quanto pare d'accordo con il presidente del Consiglio, ha già preso la sua decisione: l'erede di Draghi a Palazzo Koch sarà Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro.

Per quello che valgono gli aneddoti, tra i delegati italiani in missione al vertice dei capi di Stato e di governo dell'altroieri ne circola uno che vale la pena di raccontare. Durante il volo di ritorno da Bruxelles Berlusconi si sarebbe rivolto a Grilli, scherzando: "Allora, governatore, sei contento?". Un indizio non fa una prova. Ma a Via XX Settembre pare non abbiano più dubbi. La decisione sarebbe già stata presa. E la settimana prossima dovrebbe essere formalizzata dal Consiglio dei ministri, già convocato per giovedì.

Tutto fatto, quindi? Non è così semplice. Il governo, infatti, deve ancora affrontare due scogli, tutt'altro che irrilevanti. Il Consiglio superiore della stessa Banca d'Italia. E poi, soprattutto, il presidente della Repubblica Napolitano. Dunque, la partita non si può ancora considerare del tutto chiusa. Non solo nella forma ma anche nella sostanza.
Nel governo prevale un avviso contrario. Si accredita l'idea che i giochi siano ormai fatti. Anche se il Cavaliere, proprio a Bruxelles, ha rilanciato l'ipotesi di una terna di nomi. Oltre al candidato esterno Grilli e a quello interno Fabrizio Saccomanni, attuale direttore generale della Banca, il premier ha reinserito nella rosa persino Lorenzo Bini Smaghi, dopo aver ottenuto a fatica le sue dimissioni dal board della Bce.

Ma questa, stando alle voci, sarebbe solo una mossa di facciata. Dietro le quinte, Berlusconi e Tremonti, divisi sulla manovra economica e sulla riforma fiscale, avrebbero trovato invece un accordo blindato su Grilli, cioè sulla soluzione "esterna" a Via Nazionale. Una soluzione che sarebbe stata condivisa anche dalla Lega di Bossi. I motivi che avrebbero spinto il premier e il ministro a chiudere sull'attuale direttore generale del Tesoro riguardano il prestigio e l'anagrafe. Come Tremonti ha spiegato al Cavaliere, Grilli gode di una fama internazionale riconosciuta: è un membro della trojka europea, gestisce in prima persona i dossier che riguardano il disastro del debito della Grecia, è conosciuto e apprezzato da tutti, da Juncker alla Merkel.

Non solo. Grilli ha dalla sua l'età. Come il ministro ha spiegato al premier, tutti i governatori delle banche centrali dei paesi del G8 sono giovanissimi, e provengono dall'esterno. Il tedesco ha 41 anni e prima era sherpa della Cancelleria, l'olandese ne ha 44 e proviene dal Tesoro, il canadese ne ha 44 ed era direttore generale del ministero, l'inglese Marvin King ne aveva 50 quando è diventato cancelliere dello Scacchiere e proveniva dalla London School of economics, l'americano della Fed Ben Bernanke ne aveva 45 e veniva da Princeton. Insomma, l'età come sinonimo di esperienza e la carriera interna come sinonimo di competenza, secondo il governo, sarebbero ormai dei "non-criteri".
Per questo sarebbero caduti le ultime remore su Grilli. E per questo, tra Palazzo Chigi e Via XX Settembre, sarebbe stata esclusa la scelta "interna", cioè la candidatura di Saccomanni, attuale numero due di Bankitalia, gradito al governatore uscente Draghi e all'intera tecnostruttura di Palazzo Koch. Tremonti e Berlusconi sanno bene che Via Nazionale preferirebbe conservare la sua autonomia, che ha reso la Banca una delle istituzioni più importanti e prestigiose del Paese, fino a trasformarla in una vera e propria "riserva della Repubblica". Ma a quanto pare hanno deciso di "rompere con la tradizione". E di accelerare i tempi. Per questo, a metà settimana, il premier ha inviato una lettera ufficiale alla Banca d'Italia, per chiedere di integrare l'ordine del giorno del Consiglio superiore, già convocato per martedì prossimo, con il parere sulla nomina del nuovo governatore.

La procedura, riformata con la legge 262 del dicembre 2005, prevede al comma 8 dell'articolo 19 che "la nomina del governatore è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d'Italia...". Dunque, la nomina è un "atto complesso". Il governo e il Tesoro, previa una serie di esegesi giuridiche, sono convinti che il "dominus" della scelta sia il potere esecutivo, e che il parere del Consiglio superiore della Banca sia non solo consultivo e non vincolante, ma non debba riguardare i nomi dei candidati. Secondo questa interpretazione, quindi, martedì prossimo l'organismo interno di Via Nazionale dovrebbe esprimere un parere generale, e riferirsi solo ai criteri generali e ai requisiti personali del futuro governatore. Al contrario di quello che avveniva prima della riforma del 2005, quando invece la decisione sul nome spettava proprio al Consiglio superiore. E il Consiglio dei ministri di giovedì dovrebbe recepire il parere generico della Banca, formalizzando poi la proposta del governo con un solo nome (e non una rosa) da sottoporre al capo dello Stato.

In realtà la nuova legge, sul punto, è ambigua. E in ogni caso il il decreto di nomina è di competenza assoluta del presidente della Repubblica, che lo firma su proposta del premier. Dunque Giorgio Napolitano ha voce in capitolo. E allo stato attuale, al Quirinale non è arrivata da parte del governo alcuna indicazione sul successore dei Draghi. Il Capo dello Stato ha affrontato due volte il tema con Berlusconi. L'ultima volta giovedì scorso, dopo il voto sulla verifica di maggioranza. Il colloquio si è incentrato sul rispetto della procedura, e sull'idea che il governo possa lavorare intorno a una rosa di nomi. Da allora, al Colle, non sono arrivate notizie ulteriori. Ancora ieri mattina, durante un colloquio telefonico tra il presidente e il sottosegretario di Palazzo Chigi Gianni Letta, il dossier Bankitalia non è stato affrontato.
Questo non pregiudica la possibilità che il premier possa informare il presidente nelle prossime ore sulla scelta del governo. Ma quello che è certo è che Napolitano non accetta forzature, né vuole essere messo di fronte al fatto compiuto. Esige il rigoroso rispetto della procedura, e intanto aspetta. E si aspetta anche che Berlusconi, prima di decidere, faccia un altro giro d'orizzonte insieme a Draghi. La "continuità", per un organo di garanzia come la Banca d'Italia, è un valore importante, forse irrinunciabile. Per questo il governatore uscente preme per Saccomanni, e di Saccomanni ha parlato anche con il presidente della Repubblica.

Berlusconi e Tremonti potrebbero dunque trovarsi di fronte un doppio scoglio. Palazzo Koch e il Quirinale. Berlusconi e Tremonti sono convinti di farcela comunque. Sia perché sentono di avere dalla loro parte la legge, sia perché sono convinti che Napolitano non porrà un veto su Grilli. Ha un curriculum indiscutibile, un pedigree inattaccabile. Cosa gli si può opporre? L'unica vera obiezione è politica: lo vuole a tutti i costi Tremonti, convinto che la Banca d'Italia debba tornare ad essere il più strategico organo "ausiliario" del governo, un'istituzione indipendente ma collaborativa nel processo di "law-making" con l'esecutivo. Una tradizione che secondo il ministro è sempre esistita, dai tempi di Luigi Einaudi, ed è stata interrotta solo da Antonio Fazio, con tutti i guai che ne sono scaturiti.

Ma forse il problema, nella partita sulla Banca d'Italia, sta proprio in questa lettura della storia repubblicana. La Banca d'Italia "ausiliaria" del governo. Ammesso che lo sia mai stata, non è un bene che lo diventi.
m.gianninirepubblica.it

(26 giugno 2011)

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