giovedì 30 giugno 2011

Su Bankitalia non si può sbagliare

MARIO DEAGLIO

Nell’intricato panorama dell’economia italiana, stretta tra la prospettiva di una manovra lunga e severa - resa indispensabile dalle difficoltà europee e mondiali assai più che dalle difficoltà italiane - e quella di una crescita comunque stentata, si è aperto in questi giorni un nuovo problema: oltre a rappresentare un «successo d’immagine» per l’Italia a livello mondiale, cosa rara di questi tempi, la nomina di Mario Draghi alla guida della Banca Centrale Europea fa sorgere l’esigenza di pensare alla sua successione alla guida della Banca d’Italia.

E di pensarci in tempi rapidi perché, nonostante la schiarita rappresentata dal voto di ieri del Parlamento greco, le perturbazioni monetarie mondiali non sono certo finite e l’Italia avrebbe maggiori rischi di esserne coinvolta se l’incertezza sul nome del futuro Governatore dovesse durare troppo a lungo.

Dalla Banca d’Italia passa una parte non piccola dell’identità economica italiana.

E’ stato grazie alla Banca d’Italia di Mario Draghi che il sistema bancario italiano non si è dissolto dopo l’estate bollente del 2006, con la probabile acquisizione di alcuni dei principali istituti bancari italiani da parte di concorrenti stranieri. Quelle stesse banche sono state incoraggiate a fondersi, a raggiungere e mantenere un consistente livello di solidità patrimoniale; sono oggi annoverate tra le principali aggregazioni finanziarie europee e rappresentano una delle maggiori garanzie della tenuta italiana,

Il sistema di vigilanza della Banca d’Italia, uno dei più severi del mondo, ha poi contribuito a tenere le banche italiane lontane dalle avventure troppo frequenti in altri sistemi creditizi: basti pensare che in Gran Bretagna, patria dei moderni sistemi bancari, tre delle maggiori banche hanno dovuto essere nazionalizzate in situazioni di emergenza, naturalmente a spese dei contribuenti; il costo elevato di quelle nazionalizzazioni (che l’Italia ben difficilmente potrebbe permettersi) ora frena l’economia britannica. In Italia, quasi nessuna banca ha dovuto avvalersi del «paracadute» pubblico rappresentato dai cosiddetti «Tremonti bonds».

Di fronte a una crisi mondiale che fa ragionevolmente prevedere nuovi mesi di incertezza e di perturbazioni monetarie, la tenuta del sistema bancario appare essenziale alla tenuta dell’Italia. Essa sarà meglio garantita se verrà prescelto un candidato in grado di garantire la continuità della «cultura» della Banca d’Italia e della sua esperienza positiva degli ultimi anni.

Fatta salva l’indiscussa qualità professionale dei nomi dei possibili candidati, appare preferibile un’autonomia di fatto della Banca d’Italia dal ministero dell’Economia. Tra i due enti che, con competenze molto diverse, governano il sistema economico italiano la collaborazione - pur talvolta venata da qualche contrapposizione dialettica, tutto sommato salutare - è preferibile alla subordinazione della prima al secondo. Una Banca d’Italia sottomessa al Tesoro evocherebbe i tempi precedenti al «divorzio» del 1981 che pose le basi del rientro italiano dalla grande inflazione degli Anni Settanta. Fino ad allora la Banca d’Italia era tenuta a sottoscrivere, più o meno passivamente (e a far sottoscrivere dalle banche) i titoli pubblici che il Tesoro riteneva opportuno emettere.

Con l’attuale ministro dell’Economia, il rischio di una Banca d’Italia «schiava» probabilmente non si corre, in quanto la gestione Tremonti è tutto fuorché finanza allegra, come gli italiani in questi giorni possono ben constatare. I ministri, però, passano e i governatori restano, non avendo bisogno di essere confermati a ogni cambio di maggioranza. Con i tempi che corrono, una scelta che si fermi all’interno di Via Nazionale appare certamente la più lungimirante.

mario.deaglio@unito.it

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