domenica 28 agosto 2011

La missione impossibile di costruire l'Europa


EUGENIO SCALFARI

Potrà salvarsi l'Europa? Potrà trovare una sua vocazione, una sua missione da compiere e avere la forza per realizzarla? Molte voci si sono cimentate nei giorni scorsi con questo problema che è capitale per tanti aspetti politici, economici e soprattutto esistenziali. Alcune di quelle voci credono che questa "mission impossible" sia possibile, altre temono di no, temono d'una partita persa in partenza e che l'Europa sia ormai un corpo inerte, ripiegato sui suoi egoismi, sulle sue piccole patrie che la condannano all'irrilevanza.

Viene in mente quello che fu il destino delle città greche ai tempi di Alessandro il Grande. Atene, Sparta, Tebe, Corinto erano state grandi, avevano costellato di colonie le coste del Mediterraneo, avevano sconfitto i persiani di Ciro e di Serse ma poi si erano dilaniate in feroci guerre tra loro. Quando Alessandro concepì il suo sogno d'un impero che arrivasse fino al Caspio e all'Indo, cercò di riportare la Grecia all'antico splendore guidandola e associandola alla sua visione, ma non riuscì, le città greche rifiutarono la sua proposta e non riuscirono a scuotersi dalla loro irrilevanza politica. Alessandro partì senza di loro alla conquista delle "terre di mezzo".

Dalla sua impresa nacque l'ellenismo che fu il tramite prezioso tra la cultura greca e quella romana. L'ellenismo contribuì fortemente alla nascita della civiltà europea, ma la Grecia non è più uscita dalla sua irrilevanza. Sarà questo il destino dell'Europa di oggi?

Il nostro continente è ancora molto ricco e popolato, possiede una cultura affinata durante i secoli, ha elaborato valori di tolleranza, di libertà, di eguaglianza e non ha smarrito il gusto dell'innovazione. Sembra però avere smarrito il desiderio e senza il desiderio le missioni impossibili restano tali.

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Tra le voci autorevoli che si sono poste in questi giorni il tema dell'Europa, ce ne sono state due di particolare rilievo: quella di Giorgio Napolitano nel suo recente discorso al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione e quella di Romano Prodi in alcuni articoli e proposte sull'assetto delle istituzioni dell'Unione.

Napolitano ha battuto molto sul tasto del desiderio. Ne cito qui il passaggio più rilevante: "È certamente vero che nel determinare il benessere delle persone gli aspetti quantitativi (a cominciare dal reddito e dalla speranza di vita) contano, ma insieme ad essi contano anche gli stati soggettivi e gli aspetti qualitativi della condizione umana. È a tutto ciò che bisogna pensare quando ci si chiede se le giovani generazioni potranno, in Italia e in Europa, progredire rispetto alla generazione dei padri. La risposta è che esse debbono progredire nella loro complessiva condizione umana. Ecco qualcosa per cui avrebbe senso che si riaccendesse il "motore del desiderio"".

Nella sua conclusione Napolitano ha esortato i giovani ai quali si rivolgeva: "Non fatevi condizionare da quel che si è sedimentato in meno di due decenni: chiusure, arroccamenti, faziosità, obiettivi di potere, personalismi dilaganti. Apritevi all'incontro con interlocutori rappresentativi di altre e diverse radici culturali. Portate, nel tempo dell'incertezza, il vostro anelito di certezza".

La platea lo ha lungamente applaudito, ma mi domando se quei giovani avessero ben compreso il senso delle sue parole. La loro certezza è il dato che più caratterizza Comunione e Liberazione ma è uno stato d'animo identitario, deriva dallo "stare insieme". Stare insieme in una comunità che non sembra disposta ad aprirsi all'incontro con "portatori di altre e diverse radici culturali" né ad opporsi a "chiusure, obiettivi di potere, personalismi dilaganti".

Sarebbe importante che le esortazioni di Napolitano fossero realmente condivise e il "motore del desiderio" si riaccendesse, in Italia e in Europa. Ma che cos'è esattamente il "motore del desiderio"? Ecco un punto che merita attenzione e approfondimento.

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La nostra - scrisse Hegel nella sua "Fenomenologia dello spirito" - è una specie desiderante. Desidera di desiderare cioè desidera di trascendersi, di superarsi. Non di superare gli altri, ma di superare se stessi. Questo è il lascito che ci ha consegnato la modernità: superare noi stessi, non aggrapparsi alla sicurezza identitaria.
Purtroppo in Italia e in Europa lo spirito oggi prevalente è invece quello di aggrapparsi alle proprie identità. La Germania ne è l'espressione più evidente ma non la sola. Le istituzioni europee non riescono a compiere quel superamento di se stesse indispensabile per la nascita d'una grande potenza che sia in grado di coniugare un vero governo dell'Unione con un Parlamento democratico eletto direttamente dai popoli europei.

Romano Prodi ha proposto una soluzione apparentemente tecnica, ma piena di contenuti politici: l'emissione di eurobond garantiti dalle riserve auree degli Stati membri e dalle loro partecipazioni azionarie, per raccogliere fino a 3.000 milioni di euro sui mercati internazionali assorbendo una parte dei debiti sovrani e finanziando investimenti di dimensioni europee. Al di là delle tecniche finanziarie l'obiettivo è dare consistenza economica ai poteri del Parlamento e di un governo democratico dell'Unione.

Ricordate come nacque la "governance" degli Stati Uniti? All'inizio era una confederazione di Stati sovrani, con poteri federali molto ristretti. Ma quello fu un seme che fruttificò. Era nato da una guerra di indipendenza. Poi fu necessaria una guerra di secessione. E poi ebbe inizio una lunga lotta per l'affermazione dei diritti eguali per tutti. Così, passo dopo passo, il governo federale acquistò poteri sempre più estesi e rese possibile l'assorbimento dell'immigrazione. La prima potenza democratica del mondo è nata infatti dal "melting" d'una quantità di minoranze anglosassoni, irlandesi, italiane, africane, messicane, portoricane, ebree, russe, cinesi.
Così è nata la nazione americana e questa è l'America, vitale perché sempre in cerca d'una nuova frontiera, d'un sogno da realizzare, d'una missione da adempiere.

L'Europa ha svolto ben prima dell'America analoghe missioni, ma non come potenza continentale. Furono le singole nazioni a creare i loro imperi, ma in perenne guerra tra loro: Spagna, Francia, Portogallo, Olanda, Inghilterra, Austria, Germania. Imperi, guerre, interessi e anche valori.

Tornano in mente ancora una volta le città greche, il loro grande destino e poi la loro finale irrilevanza. Avevano almeno una lingua comune. Noi non abbiamo neppure quella e non è certo una piccola differenza.

E tuttavia il salto in avanti è possibile. Paradossalmente la crisi economica attuale può esserne l'occasione. La guerra e la pace in Libia può esserne l'occasione. Le rivoluzioni giovanili nella fascia mediterranea possono esserne l'occasione.

Dobbiamo abbattere il muro che ancora esiste tra il Nord e il Sud del continente dopo il crollo di quello tra l'Est e l'Ovest. Dobbiamo fare dell'euro una grande moneta mondiale, sorretta da interessi ma anche dai valori di libertà, eguaglianza, democrazia. Dobbiamo insomma riaccendere il "motore del desiderio".

Post scriptum. Nel Partito democratico alcuni dirigenti (ma non il segretario Bersani) vedono con sfavore lo sciopero generale proclamato dalla Cgil contro il decreto-manovra in discussione in Parlamento. Non è il momento, dicono, esortando la Cgil a ripensarci. È incomprensibile la ragione di tali critiche. La Cgil è un sindacato. Come tale non gli spetta, né ha l'intenzione, di proporre una contro-manovra. Nel decreto sono tuttavia presenti alcuni articoli, proposti dal ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, che mettono in discussione diritti dei lavoratori considerati irrinunciabili dalla Cgil. Lo sciopero è il solo strumento del quale un sindacato dispone e legittimamente ha deciso di usarlo. Proporre una contro-manovra è compito dei partiti d'opposizione, scioperare in difesa di diritti lesi è compito del sindacato e delle sue autonome deliberazioni. E questo è tutto.

(28 agosto 2011)

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