venerdì 30 settembre 2011

Terzo polo una chimera per il Pd


FEDERICO GEREMICCA

Si sente ripetere spesso - e la tesi non è infondata - che il fatto che il grosso della polemica politica resti tutta ancora incentrata sulle vicende giudiziarie del premier, in fondo, per l’esecutivo non sia un male.

Avrebbe di certo più difficoltà, infatti, a trovare argomenti e reggere il confronto sulle riforme promesse e non realizzate o sulle ricette, per esempio, messe in campo per l’uscita dalla crisi. Fatte tutte le differenze (e la principale sta nelle responsabilità che riguardano chi governa) analogo ragionamento sembra valere anche per l’opposizione: unitissima nell’attacco a Berlusconi ma pronta a dividersi su quasi qualunque altro tema.

La vicenda del non-voto della pattuglia radicale sulla mozione di sfiducia al ministro Romano o le profonde differenze intorno al modello di legge elettorale (ipoteticamente) da adottare sono solo alcuni esempi recenti di tali divisioni. In verità, non sono nemmeno i più preoccupanti, considerato che, col gran parlare che si fa di elezioni anticipate, due questioni stanno riemergendo con irrisolvibile nettezza: le alleanze con le quali andare al voto e il leader chiamato a guidare la coalizione nella sfida al centrodestra.

Negli ultimi giorni, diciamo a partire dalla presenza contemporanea di Bersani, Vendola e Di Pietro alla festa dell’Idv di Vasto, le due questioni si sono fuse dando il via ad un fuoco di fila che ha per bersagli il modello di alleanza prefigurato nel raduno abruzzese (che ha fatto evocare la «gioiosa macchina da guerra» di occhettiana memoria) e la circostanza che il candidato premier del centrosinistra debba inevitabilmente essere Pierluigi Bersani, qualunque sia il tipo di alleanza con il quale il Pd affronterà le elezioni. La polemica contro la «triade di Vasto» è stata cavalcata soprattutto dall’area cattolica del partito democratico, che non fa mistero di considerare irrinunciabile un’alleanza col Terzo polo di Pier Ferdinando Casini; a non dare per scontata la candidatura a premier di Bersani, invece, sono i cosiddetti veltroniani - animati ancora da un qualche spirito di rivalsa - oltre che Vendola stesso, naturalmente.

Si tratta di questioni certamente non facili da risolvere, tanto è vero che sono lì del tutto aperte. Ma, giunti a questo punto, non è forse azzardato ipotizzare che una soluzione - in fondo - sia già nelle cose: e che non venga accettata (riconosciuta) perché forse dolorosa e sgradita ai più. Intendiamo dire che la posizione ripetutamente espressa da Pier Ferdinando Casini (mai con Di Pietro e Vendola) andrebbe, a questo punto, presa per quel che è: cioè una seria dichiarazione di intenti. E che l’eclissi di Berlusconi e le grandi manovre in corso nel centrodestra rendono certamente più allettante - oltre che più naturale - per il leader dell’Udc un patto con un centrodestra libero (se sarà libero...) dalla presenza di Silvio Berlusconi.

Le difficoltà dell’area cattolica del Pd a «digerire» una tale soluzione sono del tutto comprensibili: la caccia al sempre inseguito «voto moderato» (se non proprio cattolico) si farebbe infatti assai difficile. Eppure, se la scelta del Terzo polo va maturando nella direzione che si diceva, forse converrebbe prenderne atto per tempo, provando almeno a valorizzarne le conseguenze. La prima è certamente una maggior chiarezza strategica da trasmettere agli elettori: fine, insomma, dell’imbarazzante ritornello «vi diremo poi con chi ci alleiamo», che è uno dei limiti maggiori delle forze oggi all’opposizione. La seconda potremmo definirla un atto di fiducia (in condizioni di necessità, certo) verso quello che viene di solito chiamato il «popolo di sinistra».

Pochi mesi fa, dopo l’esito delle primarie in città come Milano e Cagliari (dove i candidati cosiddetti «radicali» sconfissero gli alfieri del Pd) o dopo il risultato del primo turno a Napoli (con De Magistris al ballottaggio al posto del favorito Morcone), vennero intonati molti «de profundis», perché le partite sembravano inevitabilmente perse. Fu invece un trionfo, col centrodestra scompaginato nelle sue roccaforti (Milano) e battuto in città già date per conquistate (Napoli). Ora, naturalmente, una cosa è vincere (per di più delle elezioni amministrative) e un’altra è riuscire a governare, come testimoniò l’ultima esperienza di Romano Prodi. Ma intanto, banalmente, è sempre meglio vincere che perdere. E soprattutto, se la via dell’alleanza elettorale col Terzo polo si va tramutando sempre più in una chimera, tanto vale - forse - prenderne atto, smetterla di inseguire fantasmi e rimboccarsi le maniche, piuttosto, in vista di quel che sarà...

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