sabato 31 dicembre 2011

I Bossi finiti sotto il Carroccio




IL SENATÙR SOLO, RENZO SEMPRE IN MEZZO ALLE ROGNE
di Fabrizio d’Esposito e Elisabetta Reguitti

Umberto Bossi è ormai una macchietta tragica e pericolosa.
Fasciata in un cardigan largo, sformato di colore verde, a mo’ di grottesca sindone padana. Adesso che la parabola dell’imbarazzante figlio Trota prevede anche presunte inchieste giudiziarie, e non solo più gaffe, il Senatùr è costretto a insultare il capo dello Stato per tenere insieme una Lega sempre più lacerata dalle guerre interne. Un nervosismo evidente, plateale.
   L’altra notte a Bergamo, alla festa del Carroccio (la “Berghem Frecc”), Bossi ha chiamato “terùn” Napolitano (“nomen omen”) e gli ha pure mostrato le corna, incoraggiato dal pubblico. Al premier Monti ha riservato un insulto ancora più greve e volgare. I militanti hanno intonato “Monti vaffanculo” e lui ha chiosato, stile Calderoli (noto per le sue battute contro i gay): “Chissà che non gli piaccia a Monti”. Squallido. Ovviamente nel repertorio della stanca Lega di lotta e opposizione c’è spazio di nuovo per la secessione. Che però Bossi chiama “indipendenza”. Slogan, come al solito.
   SUL PALCO DI Bergamo, con il Senatùr non c’era nessuno del “cerchio magico” che lo ha blindato dai tempi dell’ictus. Né i capigruppo Reguzzoni e Bricolo, né la “badante” nonché vicepresidente del Senato Rosi Mauro. Per loro, trasferta “vietata” dai due colonnelli più antichi del Capo, i due Roberti: Maroni e Calderoli. Il primo, ex ministro dell’Interno, ha sorriso e applaudito agli insulti bossiani della “Berghem Frecc”. Ma l’immagine del palco, Bossi con Maroni e Calderoli, è il segno più evidente della solitudine e dell’impotenza di un leader in declino.
Senza più poltrone di governo, senza più il controllo del partito, senza più il sostegno (almeno in apparenza) dell’ex amico “Silvio”.
Orfano forzato del cerchio magico, il Senatùr aveva accanto a sé la stessa persona che ha alimentato dubbi sullo scandalo che ha investito l’amato Trota, consigliere regionale in Lombardia.
Così Maroni: “Spero non sia vero, la Lega che conosco è fatta di persone oneste”. Sospettato di fare festini a base di droga con Alessandro Uggeri, fidanzato di Monica Rizzi, assessore leghista al Pirellone, Renzo Bossi è il simbolo della deriva nordcoreana di un partito governato per due decenni in modo leninista. Una satrapia guidata dalla zarina Manuela Bossi e che la stampa ha chiamato “cerchio magico”. Bossi ha liquidato la questione di netto, “è un modo per sporcare la gente”, e la Rizzi, che è la “badante” politica del Trota, ha minacciato di querelare il quotidiano che ha pubblicato l’articolo, La Repubblica.
   IN REALTÀ, il sospetto è che dietro la notizia ci siano le guerre interne del Carroccio. Come conferma al Fatto, il neoprocuratore capo di Brescia Fabio Salamone: “Non c’è alcuna inchiesta, anche se non escludo che ci sia un rapporto di amicizia tra Renzo Bossi e Uggeri. Si tratta di beghe di cortile nella Lega”. Tutto questo però non ha frenato i malumori nel partito e nella base contro la gestione familista del Carroccio. Tra i quadri locali circolano da tempo allusioni esplicite all’esuberante stile di vita di Bossi junior, che l’apprensiva madre vorrebbe mandare deputato a Roma alle prossime politiche. Si va dalle sue trasferte “universitarie” a Londra alle ironie sull’ufficio “multe” aperto solo per lui nella sede nazionale della Lega a Milano, in via Bellerio. Per anni, infatti, il partito ha pagato le contravvenzioni prese dai suoi ministri a Roma e adesso che si è tornati all’opposizione, i funzionari si dedicano agli eccessi di velocità del rampollo “nordcoreano”.
   Tra i militanti, l’unico argine al cupio dissolvi è rappresentato da Maroni, cofondatore della Lega. L’ex fedelissimo Bobo avrebbe ormai la maggioranza del partito con lui e vorrebbe una successione per via democratica, con una stagione di congressi. Ma la diga del “cerchio magico” ancora non cede e il risultato è una palude padana che Bossi cerca di movimentare con le sue uscite. Così anche Maroni usa un doppio registro, a imitazione del Capo. Da un lato sorride e applaude agli insulti in terra bergamasca, dall’altro vacilla sull’innocenza del Trota e attacca Reguzzoni per la campagna contro il discorso di fine d’anno del capo dello Stato. Un teatrino che una fonte autorevole riassume in un’analisi macabra e spietata: “Se Maroni non si fa venire il coraggio, il rischio è che finché Bossi vive tutto rimanga bloccato”.
   NON SOLO. Con le amministrative praticamente alle porte, nascono nuovi movimenti leghisti anti-bossiani. L’ultimo è l’Unione Padana di quattro ex parlamentari leghisti che sta avendo un boom di iscrizioni proprio in provincia di Bergamo. L’8 gennaio 2012, poi, partirà un nuovo sito padano ma non leghista: L’Indipendenza. Tra i fondatori tre storici leghisti oggi contro Bossi: Leonardo Facco, Gilberto Oneto e Luca Marchi. Quest’ultimo fu il primo direttore della Padania, che debuttò nelle edicole l’8 gennaio del ’97. Tre lustri dopo, Marchi dice: “Bossi ha passato vent’anni a fare annunci ma non ha mai realizzato nulla”.

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